DON DON DON

Don don don
suona la campana per il Signore
suona per la gioia
nei giorni di festa
alla Domenica a Pasqua ed a Natale
suona però a volte
anche per la tristezza
per celebrare un funerale.

Ma che cosa strana
sentite gente
accadde un giorno
al mio paese
spuntò fuori più di uno
che pretese
suonassero don don don
anche per lui la campana.

E la campana
che confusione
don don don
s'udiva suonare
non solo quando la gente
andava in chiesa a pregare
suonava in ogni occasione
come una matta senza ragione.

In ogni momento del giorno
in tutto il paese
ed anche intorno
la campana si udiva suonare
non per chiamare ad onorare
l'unico vero Signore Gesù
ma anche quei falsi signori
del mio paese laggiù.

Oh che se pensate che matto sia io
e la campana avesse invece ragione
di fare don don don
per quei signori e signore
venitemi a testimoniare per favore
se avete potuto constatare
essere mai seguita per taluno
dopo la morte la Resurrezione.

   Nell'agosto del 2004, capitò che uno di questi "signori" apparve - non proprio per miracolo - mentre mio padre era nel corridoio di attesa per il medico: "don", vidi che puntualmente gli suonò ancora la campana mio padre.
     L'estate scorsa, non nel corridoio di attesa, ma nei paraggi fuori in strada, non avendo più mio padre motivo d'incontrarlo, quel "signore" l'ho incontrato io, ma non gli ho suonato la campana, anzi non l'ho salutato in alcuna maniera. Egli era insieme ad un suo nipote, al quale ho visto subito rivolgerglisi, probabilmente per chiedergli chi fosse costui, che aveva osato non salutarlo affatto, non solo senza suonargli la campana.
    Non so se il nipote di quel "signore" si sia limitato a dirgli soltanto che ero un figlio di Lorenzo Carcuro, oppure abbia aggiunto che, grazie a me, anche se egli non è un gemello di Gesù, avrebbe avuto comunque una qualche forma di gloria.
   
    Io non sono un gran frequentatore, né di bar, né di barbieri. Ci sono, tuttavia, delle eccezioni: una è il barbiere Canio l'acerenzese, che non manco mai di fargli visita quando vado a Banzi, anche sei i capelli non fossero proprio bisognosi di acconciatura, oppure resisto a tagliarli qua a Varese quando sto per andare al paese. Un po' come il rifornimento di benzina che, pur di andarlo a fare da Rocco Mutri, una volta sono arrivato a Banzi col patema d'animo perché ero rimasto con poche gocce nel serbatoio (ed era anche di Domenica).
    Però debbo dire che Rocco è riconoscente con me, concedendomi - anche adesso che non sto andando più in macchina a Banzi, e pertanto non faccio più benzina - di cogliere qualche fico dalla pianta adiacente la stazione di servizio. L'anno scorso, poi, sua moglie mi ha offerto anche delle margheritone, che ho piantato nel mio giardino, sono diventate enormi e, anche se non sono rose, prima o poi, ne sono certo, sbocceranno.
    Ma, se non sono frequentatore di bar e barbieri - dimenticavo anche della piazza - dove apprendo qualche notizia o pettegolezzo a Banzi? Mi è capitato di apprendere qualcosa salutando una parente di mia moglie, presso la quale si stavano intrattenendo altre persone.
    Nel rievocare con loro i ricordi passati, ho appreso da una di queste che la sua maestra - una di quelle persone per le quali la campana doveva fare "don" - aveva il vizietto che, durante l'orario scolastico, le concedeva "permessi speciali" - fuor di eufemismo la comandava - ad andare a fare pulizia presso l'abitazione privata sua o di qualche sua sorella. Evidentemente la maestra, stimando che quella bambina fosse votata ad umili mestieri, cominciava già ad avviarla.
    Apprendo ancora, questa volta in strada da vicini di casa, che sempre quella maestra ebbe una volta a redarguire aspramente un genitore di uno scolaro, perché egli consentiva a suo figlio di frequentare un compagno di scuola appartenente ad una famiglia diseredata: secondo tale maestra, evidentemente, quel bambino doveva essere tenuto a debita distanza, evitato come un lebbroso.
    Anche una mia nipote, invece, temporaneamente ospite a casa mia, fu grande amica di una sorella di quel ragazzo, frequentando la sua casa abitualmente. Mi ricordo che, ad un certo punto, ebbe la testa popolata di pidocchi. Ma non ne facemmo un dramma: all'epoca non era difficile prenderli. Io stesso li ho beccati non poche volte.
    Mi sarebbe piaciuto sapere se questa specie di maestri abbia mai insegnato a scuola la rivoluzione francese, ed il significato dei principi che l'hanno animata: "liberté, egalité, fraternité"; e se abbia, poi, caso mai, commentato che quella rivoluzione era sbagliata, perché cardine della società non può che essere, secondo la propria convinzione, la distinzione di classe, senza possibilità per i più intelligenti e meritevoli di andare mai ad occupare ruoli di prestigio, sì che, ad esempio, a fare il medico non potesse essere che chi avesse già il papà medico, non importa poi che, autentico somaro matricolato, non superasse gli esami: basta attaccare la targa alla porta e la gente ci deve credere per forza.
    Che in famiglia (di quella specie di maestri) si professasse la distinzione sociale vale a dimostrarlo anche un episodio di cui è stata vittima una mia sorella. Lei ha fatto solo le scuole elementari, ma aveva un'amica che aveva invece proseguito a fare le medie. Ciononostante l'amicizia è rimasta (continua ancora adesso). Una volta dovevano andare a fare insieme il lunedì di Pasqua in campagna con altre ragazze, tra le quali una nipote della maestra suddetta. Cosa accadde? Che quella nipote appose il veto alla partecipazione di mia sorella, solo perché non andava più a scuola. Ed al lunedì in campagna, per solidarietà, non andò più neppure l'amica di mia sorella.
   
    Quasi si sprecano i libri che parlano della storia di Banzi. Tutti si soffermano a decantare della tavola bantina, della Fons Bandusiae, della morte del console Marcello, della visita di Papa Urbano II. Nessuno della sua storia recente, fatta eccezione del mio compare Michele Rigato che, nella sua semplicità, ci ha lasciato, nel suo libro "E così fu", ampia testimonianza del modo di vivere del nostro paese nel secolo passato.
    Sto cercando di fare lo sforzo di aggiungere anch'io qualcosa in questo sito. Anche a me, come a Rigato, piace consacrare nei ricordi soprattutto vicende di vita, rivelatrici di usi e costumi dell'ambiente del paese, fatti di persone semplici, come Peppino Faggella, mio zio Nicola il lupinaio, zio Nicola Di Meo, zio Peppe il postino, la rievocazione delle cui facce e voci mi suscitano emozioni, e che ritengo appartenere ai veri personaggi che fanno la storia di Banzi; provo, invece, una certa pena e disgusto a ricordare persone di "rango", che quando saranno schiattate non avranno "resurrezione" alcuna, nemmeno nei labili ricordi delle persone.
    Avrei in mente di inserire in questo sito anche una pagina a ricordo di Raffaele (o Nicola?) Serritelli, ma avrei bisogno che qualcuno mi aiuti a ricordare ciò che gli accadde, e la brutta fine che fece alla vigilia di Pasqua del 1969. Ce n'è qualcuno?

14 agosto 2006

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