IERI  

 

Ieri, ultimo giorno di maggio, mi sono svegliato con la gioia nel cuore: perché alla notte avevo sognato i miei nonni materni.

Avviene ciò non di rado, ma questa volta li ho visti bene da vicino, ho abbracciato forte forte nonno Antonio: "quanti anni hai adesso", gli ho domandato. Centoquaranta, mi ha risposto. Ma non era affatto vecchio, aveva anzi una statura imponente e maestosa.

Continuavano a vivere ancora belli rigogliosi.

E chissà che non sia davvero così, che il mio nonno porcaro non continui ancora a pascolare la sua mandria di suini ed a coltivare una florida vigna, ricca di uva, fichi e frutta prelibata, delizia del nostro palato.

 

Senonché, alla sera, una notizia molto triste ha fatto da pendant al bel sogno con cui aveva fatto esordio il nuovo giorno.

Avevo telefonato a mia sorella Anna, e giacché lei ha ancora contatti con persone di Banzi, ha modo di essere informata di ciò che accade di rilevante nel nostro paese natio, in modo particolare delle dipartite dei nostri compaesani, delle quali me ne fa il bollettino.

Così sono venuto a sapere che in via Garibaldi, la quarta casa oltre la mia (rimane sempre mia anche se non ne ho più il titolo di proprietà), non è più abitata da Maria e Sabato, rimanendone oltremodo rattristato.

Ci sono tante dipartite che ti lasciano indifferenti, fossero anche di parenti, altre invece no: ti colpiscono e rattristano in modo particolare, perché trattasi di persone buone, che rappresentavano degnamente l'umanità, la esaltavano con i loro gesti, le loro opere, la loro semplicità, la loro umiltà, la loro bontà, il loro calore, che sprigionavano dal loro portamento, dai loro sguardi, dalla loro voce.

E questo è il caso di Maria e Sabato, due persone che quando incontravo e salutavo mi facevano risuonare sempre qualcosa di dolce nell'anima.

Maria aveva vestita mia madre per prepararla  nel suo viaggio nell'aldilà; Sabato era uno spettacolo ammirarlo al mattino presto quando partiva per la campagna col suo carretto ed il cagnolino sopra che abbaiava festoso. Mi ricordo anche l'opera d'arte della vite nata spontanea vicino la sua parete di casa, che egli faceva magicamente salire fino al tetto, forse anche oltre verso il cielo... dove egli l'avrà ritrovata e curerà ancora per offrire grappoli d'uva agli angeli.

Il 17 ottobre 2007, avuta la notizia della morte di zia Rosinella, la tristezza provata mi ispirò la poesia "Uscivano al mattino" (la riporto in calce): la stessa tristezza provo ora per aver appreso della scomparsa di Maria e Sabato, che, pur non suggerendomi un'altra poesia per l'esaurimento della mia vena poetica, mi induce a ricordarli con animo commosso e grato e ad erigere qua un ideale monumento alla loro memoria, sul quale scolpisco la speranza di poterli incontrare ancora nell'aldilà ed averli quali vicini di casa.


USCIVANO AL MATTINO

Uscivano all'alba
i passeri da sotto i tetti
atterravano in strada vispi e lesti
per andare a beccare
le briciole di pane.

Uscivano poco dopo
le nostre mamme dalle case
passavano leste in processione
per andare a prendere il pane al forno
e lì incontrandosi
facevano un coro di buon giorno.

Vi passava la vicina
con i capelli dalla notte
ancora scarmigliati
la maestra con i passi misurati
vi passava anche zia Rosinella
col fazzoletto in testa
e sulle spalle la mantella.

Zia Rosinella però un giorno
è uscita e non è più ritornata
l'ho appreso l'altro giorno solamente
che pure lei ha lasciato la casa abbandonata
ed allora la campana che ho dentro il cuore
s'è messa a rintoccare tristemente.

Ora anche la voce di zia Rosinella
non risuonerà più nella mia strada
non entrerà insieme al sole
tra le porte spalancate
la sua eco peregrinerà
tra l'una e l'altra stella
e la casa lasciata abbandonata
saranno le mosche a vigilarla
alle pareti appiccicate.

 

01 giugno 2020

HOME PAGE