IL 10 SETTEMBRE 1973

 

Chi avrebbe mai immaginato, il dieci settembre 1973, che il giorno successivo di ventotto anni dopo, ci sarebbe stato a New York l'attacco terroristico alle Twin Towers del World Trade Center, nonché quello al Pentagono nella contea di Arlington in Virginia, che sconvolsero il mondo intero per l'inusitata audacia temeraria dimostrata dai soggetti attuatori, nonché per il numero delle vittime causate, 2977, oltre i 19 medesimi dirottatori degli aerei.

Tuttavia quei due atti terroristici sono stati ben poca cosa rispetto ad altrettanti posti in essere dagli USA nei confronti del Giappone con il lancio delle bombe atomiche, effettuato a conclusione della seconda guerra mondiale il 6 ed il 9 agosto 1945, rispettivamente sulla città di Hiroshima e di Nagasaki, che provocarono la morte di oltre duecentomila persone, senza contare il numero ancora ben più maggiore di tutti gli altri esseri viventi del mondo animale: un vero e proprio abominevole crimine contro l'umanità, perpetrato nei confronti di inermi popolazioni civili, al solo scopo di costringere l'imperatore giapponese ad una resa incondizionata.

Ad onta dell'inferno che avrebbero scatenato sulla Terra, quelle due bombe erano denominate con i nomi innocenti di Little Boy e Fat Man; non solo, il bombardiere impiegato per il trasporto dell'ordigno nucleare su Hiroshima, chiamato col nome di Enola Gay (chissà come sarà stata contenta, vedere dal cielo il fungo atomico che faceva strage di così tanti esseri viventi), madre del pilota, il generale Paul Tibbets, che, minacciato di atti vandalici sulla sua sepoltura quando sarebbe morto, si fece cremare e spargere le ceneri sul Canale della Manica, sorvolato più volte durante la guerra.

Ma è curioso anche il nome della prima bomba atomica, The Gadget, testata col nome in codice Trinity (Trinità) il 16 luglio 1945 nel deserto di Jornada del Muerto, Nuovo Messico… si denominano gadget anche tutte le cianfrusaglie vendute dal Partito fondato da Umberto Bossi.
Quanto a me, il 10 settembre 1973 avrei potuto ricordare che due giorni prima c'era stata a Banzi la festa della madonna e la fiera in quello ancora precedente, di rilevante importanza fino all'inizio degli anni sessanta, atteso che in tanti comperavano da mio nonno materno Antonio Teto, venuto apposta da Genzano di Lucania con la sua mandria, il maialino da ingrassare ben bene ed ammazzare a fine anno.

Ma, in quel giorno tali ricordi non sfiorarono minimamente la mia mente, perché ero impegnato in una missione che non aveva niente a che fare, né col preambolo d'orrore di cui sopra, né con le ricorrenze religiose e civili del mio paese natio.
Si trattava di una missione di tutt'altra natura, che merita di essere incorniciata in un racconto, per essere conservata e ricordata come uno dei quadri più belli della collezione della mia vita.

Erano già due anni che avevo lasciato Banzi, per trasferirmi a Bologna, dove stavo frequentando il secondo anno di giurisprudenza.

Quel tempo non era valso però a farmi dimenticare colei che aveva incendiato la mia anima cinque anni prima, anzi, sperimentavo quanto fossero veri i versi di una canzone interpretata da Domenico Modugno, che "La lontananza è come il vento, spegne i fuochi piccoli, ma accende quelli grandi; la lontananza fa dimenticare chi non s'ama; darei la vita per averti accanto, per rivederti almeno un solo istante".

Pensare di riuscire ad averla accanto era prematuro, però di rivederla un solo istante era cosa possibile.

L'estate precedente avevo sentito da mia madre che una signora di Banzi, trasferitasi a Malnate, aveva visto la figlia del mugnaio lavorare alla Standa.

Allora cominciai a propormi di fare un viaggio ricognitivo per scovarla.
Giacché l'intenzione era solo, dopo tre anni, di "rivederla un solo istante", scoprendo caso mai essere lei già impegnata con un altro ragazzo, sì da essere costretto a mettermi il cuore in pace e dimenticarla, pensai di compiere la missione in modo da vederla senza farmi vedere.

Mi servivano allo scopo degli occhiali scuri, convinto che fossero sufficienti per non farmi riconoscere, anche perché nel frattempo il mio volto doveva essere un pò trasformato.

Ma chi aveva i soldi per comperarli, se dovevo campare un intero anno, facendo fronte a tutte le spese, con sole cinquecentomila lire di presalario che mi dava l'opera universitaria?
Avrei dovuto trovare un portafoglio per terra, solo così li potevo acquistare.

Ed un giorno, facendo un giro in bicicletta per la campagna intorno a Granarolo, vengo attratto dalla bella vista di un laghetto.

Mi fermo allora per una sosta e, mentre faccio una circumcamminata, toh, che vedono i miei occhi?

Un portafoglio per terra.

Prelevo le ventimila lire che c'erano dentro, e mi sento già addosso gli occhiali che avevo visto e rivisto un sacco di volte nella vetrina di un negozio in fondo a via Indipendenza, verso la stazione.

Era un segno del destino!

Ma non potevo mica affrontare al buio un viaggio esclusivamente esplorativo, andata/ritorno, da Bologna a Varese, dall'esito assai incerto.

Ci voleva qualche occasione propizia per andarci da quelle parti.

E dopo il ritrovamento del portafoglio, giunse anche questa.

Una mia nipote doveva sposarsi a Domodossola domenica 9 settembre, ecco allora che potevo approfittare per combinare la missione esplorativa alla partecipazione al matrimonio.

Così, celebrato il matrimonio, l'indomani lunedì mattina 10 settembre, verso le quattro, presi con mia sorella il treno di ritorno a Bologna.

Ma io scesi a Milano e di lì presi il treno delle allora Ferrovie Nord per andare a Malnate, dove pensavo fosse a lavorare.

Era un convoglio di solo due carrozze, con l'interno in legno, che fermava in tutte le stazioni.
Ad ognuna di esse mi affacciavo, osservando con curiosità tutto.

Ed ecco arrivati finalmente a Malnate.

Mi approssimo all'uscita per scendere, ma all'ultimo momento mi trattengo dal farlo, giacché avevo visto che la stazione successiva sarebbe stata Varese.

Vado a Varese, presi istantaneamente questa risoluzione.

E facendo ingresso in città cosa vedo?

Il supermercato Standa.

Che lavori poprio qua?

Sceso dal treno, mi recai subito (con i miei occhiali scuri) a darvi un'occhiata, ma al lunedì mattina la Standa era chiusa.

Allora, avendo delle ore a disposizione, mi aggirai intorno alla stazione, scoprendo che alle spalle c'era il piazzale delle corriere.

Passo in rassegna, ad una ad una, tutte le tabelle informative poste ai capolinea, fino ad identificare quello dove sarebbe arrivata la corriera da Besozzo.

La speranza di poter rivedere la figlia del mugnaio si stava per realizzare.
Intanto pensavo, chissà come sarà cambiata in questi tre anni, farò fatica a riconoscerla.

L'orario delle corse d'arrivo, tenuto conto di quello d'apertura della Standa, si faceva sempre più prossimo, e l'ansia e la trepidazione di rivederla montavano come un'alta marea.

Nell'attesa, osservavo il via vai delle persone intorno, notando un ragazzo tracagnotto con un borsello, che aveva l'aria di attendere anche lui qualche persona, il che mi fece sorgere il vago sospetto che potesse essere la stessa.

Ed ecco la corriera che arriva da Besozzo.

Immediatamente è dileguato ogni dubbio che ci fosse lei su e che fosse riconoscibile: era già in piedi a scrutare fuori, con lo sguardo puntato sui miei occhiali scuri, che credevo non mi facessero riconoscere.

In seguito mi ha spiegato che lei era solita trarre gli auspici dalla combinazione dei numeri di targa delle autoveture.

Quel giorno aveva visto una targa con una combinazione del numero tre, che faceva presagire ciò che stava per accadere.

Scesa dalla corriera, rimango seduto su una panchina per vederla transitare davanti ad una certa distanza.

Noto, invece, che l'altro ragazzo le va incontro.

A quel punto succede una scena che, se da un lato mi dà conferma che il sospetto detto innanzi non era infondato, dall'altro mi fa capire eloquentemente che il suo ragazzo potevo ritenermi ancora io: lo semina mettendosi quasi a correre come una cavalla imbizzarrita, distanziandolo lontano. anche dalla lunga chioma di capelli che le sventolava dietro.

Quel ragazzo era solo un collega di lavoro, che però non smetteva di sperare di intenerirle il cuore e, una volta resosi conto non sarebbe ciò accaduto, chiese il trasferimento ad altra filiale per non continuare a soffrire senza speranza.

Si era avverato così il sogno di rivederla un solo istante, aspettando tutto il pomeriggio che riapparisse alla sera a riprendere la corriera, per rivederla un altro istante ancora.

La missione di quel giorno era felicemente compiuta e, dopo la precedente notte trascorsa completamente in bianco, se ne aggiunse un'altra ancora, la prima di trepidazione, la seconda di ebbra felicità.

Il giorno successivo, camminando quasi tumultuosamente per le vie centrali di Bologna, per sfogarne l'incontenibilità, entrai nel supermercato Standa di via Rizzoli a comperare qualcosa da mangiare, ma soprattutto per vedere le commesse che avevano la stessa sua divisa.

Presi una vaschetta di sarde: quanto erano buone!

Declinato così un verso della canzone di Modugno, per avere poi accanto la figlia del mugnaio, dovevo attendere ancora cinque anni.

Passarono anche quelli, purtroppo ne sono trascorsi ora troppi, ben quarantasette, ma che emozione ricordare ancora quel dieci settembre 1973, e raccontarlo!

Sembra una bella favola, scritta oggi che si celebra la solennità dell'Immacolata Concezione.

Visto che la seconda ondata della pandemia da coronavirus ci costringe a trascorrere il Natale senza la compagnia di figli e nipoti, la leggerò quel giorno alla figlia del mugnaio come fosse una letterina scritta per questa solennità cristiana.

Scommetto vi starete già sforzando d'immaginare quanto grande sarà la sua emozione nell'ascoltarla.

Ebbene, potete risparmiarvi tale sforzo, vi anticipo subito io come reagirà e cosa dirà dopo aver finito di leggerla… ammesso che mi consentirà di arrivare in fondo.

"Hai scritto questo racconto il giorno dell'Immacolata Concezione?

E' l'unica cosa che ci azzecca, perché anch'io, seppure non immacolata come la madonna, ho dovuto essere animata nei tuoi confronti, non solo dalla fiducia, anche da tanta fede, per consentirti di concepire i figli che abbiamo messo al mondo.

Ma come è possibile che, dopo tre anni che non ci vedevamo, vieni a trovarmi e ti limiti solo a spiarmi, senza venirmi incontro ad abbracciarmi, a stringermi forte da farmi scoppiare il petto stracolmo d'amore che avevo accumulato dentro per te?

Ed io che dichiaravo alle mie colleghe di avere il fidanzato: finalmente si fa vivo, ma è come un clandestino che ha paura di farsi beccare.

Pensa che imbarazzo è stato per me, spiegare al collega che mi era venuto incontro per accompagnarmi al lavoro, che gli ho impedito di avvicinarsi perché c'era il fantasma del mio

fidanzato!".

Al che io, con ancora più imbarazzo di quello testè ricordato aver provato lei, a capo chino, mi sforzerò di dirle:

"Amore, riconosco l'assurdità di quel mio comportamento, ma, senza di essa, come avrei potuto scrivere questa bella favola?

Se vuoi, sono ancora in grado di rimediare, posso abbracciarti ora per allora.

Lo vuoi mia legittima sposa?".

E lei: "certo che lo voglio, mio legittimo sposo".

Ed a quel punto la favola, constatato quell'abbraccio, per celebrarne lietamente la fine, prima di rientrare nel mondo della fantasia, guardò negli occhi la figlia del mugnaio, guardò negli occhi il figlio del gastarbeiter e, assumendo l'autorità d'un pubblico ufficiale, disse loro ad alta ed intelligibile voce: " vi dichiaro felici per l'eternità".

sette

08 dicembre 2020

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