AFFLATI DI LUCANI PER LA PROPRIA TERRA

    Su segnalazione di un amico, ho trovato nel forum del portale http://www.lucanianet.it diverse poesie di autori lucani, di cui alcuni poeti gią molto noti, altri un po' meno, altri infine ancora non onorati della pubblicazione dei loro scritti in un libro, la maggior parte dei quali non la vedrą mai, indipendentemente dal valore artistico delle loro espressioni poetiche.
    Quale lucano e - mi permetto osar qualificare - loro collega, intendo dare anche qua, democraticamente, un po' di spazio per ospitarli, offrendo un'opportunitą in pił per farli conoscere, ed ai visitatori il privilegio di poterli scoprire, leggere ed eventualmente apprezzare le loro poesie, che continuerņ ad aggiungere man mano che ne vengo a conoscenza, o che qualcuno me ne dovesse inviare.
    Eccone allora di seguito una silloge.

LUCANIA

Al pellegrino che s'affaccia ai suoi valichi,
a chi scende per la stretta degli Alburni
o fa il cammino delle pecore lungo le coste della Serra,
al nibbio che rompe il filo dell'orizzonte
con un rettile negli artigli, all'emigrante, al soldato,
a chi torna dai santuari o dall'esilio a chi dorme
negli ovili, al pastore, al mezzadro, al mercante,
la Lucania apre le sue lande,
le sue valli dove i fiumi scorrono lenti
come fiumi di polvere.
Lo spirito del silenzio sta nei luoghi
della mia dolorosa provincia. Da Elea a Metaponto,
sofistico e d'oro, problematico e sottile,
divora l'olio nelle chiese, mette il cappuccio
nelle case, fa il monaco nelle grotte, cresce
con l'erba alle soglie dei vecchi paesi franati.
Il sole sbieco sui lauri, il sole buono
con le grandi corna, l'odoroso palato,
il sole avido di bambini, eccolo per le piazze!
Ha il passo pigro del bue, e sull'erba,
sulle selci lascia le grandi chiazze
zeppe di larve.
Terra di mamme grasse, di padri scuri
e lustri come scheletri, piena di galli
e di cani, di boschi e di calcare, terra
magra dove il grano cresce a stento
(carosella, granoturco, granofino)
e il vino non č squillante (menta
dell'Agri, basilico del Basento!)
e l'uliva ha il gusto dell'oblio,
il sapore del pianto.
In un'aria vulcanica, fortemente accensibile,
gli alberi respirano con un palpito inconsueto;
le querce ingrossano i ceppi con la sostanza del cielo,
cumuli di macerie restano intatti per secoli:
nessuno rivolta una pietra per non inorridire.
Sotto ogni pietra, dico, ha l'inferno il suo ombelico.
Solo un ragazzo puņ sporgersi agli orli
dell'abisso per cogliere il nettare
tra i cespi brulicanti di zanzare
e di tarantole.
Io tornerņ vivo sotto le tue piogge rosse
tornerņ senza colpe a battere il tamburo,
a legare il mulo alla porta,
a raccogliere lumache negli orti.
Vedrņ fumare le stoppie, le sterpaie
le fosse, udrņ il merlo cantare
sotto i tetti, udrņ la gatta
cantare sui sepolcri?

Leonardo Sinisgalli


LUCANIA

M'accompagna lo zirlio dei grilli
e il suono del campano al collo
d'un'inquieta capretta.
Il vento mi fascia
di sottilissimi nastri d'argento
e lą, nell'ombra delle nubi sperduto,
giace in frantumi un paesetto lucano.

Rocco Scotellaro


LUCANIA

Io lo conosco
questo fruscģo di canneti
sui declivi aridi
contesi dalle frane
e queste rocce magre
dove i venti e le nebbie
danno convegno ai silenzi
che gravano a sera
sul passo stanco dei muli.
E' poca l'acqua che scorre
e le vallate son secche
spaccate d'argilla.
Di qui le mandrie migrano
con l'autunno avanzato
per la piana delle marine
tuffando i passi nelle paludi.
Di qui č passata la malaria
per le stazioncine sul Basento
squallide segnate d'oleandri.
Da noi la malvarosa č un fiore
che trema col basilico
in un vaso stinto di terracotta
e il rosmarino cresce nei prati
sulle scarpate delle vie
accanto ai buchi delle talpe.
Da noi si riposa il falco e la civetta
segna la nostra morte.
Da noi il mondo č lontano
ma c'č un odore di terra e gaggģa
e il pane ha il sapore del grano.

Mario Trufelli


'A TERRA D'U RICORDE

S'i campčne di Paske
su' parņue di Criste
ca hé fatte nghiłre 'a morte,
mņ sta parlčta frisca di paģse
jčttete u bbąnne e dģcete
"Vinčse a qué,
v’ągghie grapute i porte."

Albino Pierri


LUCANIA


Č amara l'acqua dei nostri fiumi:
troppe lagrime abbiamo versato.
Se ci mangia la frana i magri campi
e ci spia la malaria dai canneti,
pił ci attacchiamo a questa terra dura,
senza canti e leggende, terra chiusa
tra la roccia e i dirupi, noi che amiamo
l'ulivo che piantiamo nell'argilla
e il grano stento, conteso alla gramigna
e alla palude.

Giulio Stolfi


LUCANIA

O luogo sorgivo
tu non muti nel tempo.
Sei la polla nascosta del cuore
che respira intatta:
un profumo d'acacia
entro il buio dell'anima.
Ti ritrovo nel sangue,
in quest'aria
che smuove le pietre
che si radica in viso
che impasta i sensi
che tripudia e beffeggia
che mi dissoda nell'angoscia
e mi strania in cieli d'albicocca.
Tu non somigli al mondo
ma lo riveli.

Osvaldo Tagliavini


LUCANIA PERSA

Respirano i nostri morti
nelle pietre dei conventi.

Oh le ginestre umiliate,
terra mia gettata sopra il letto delle serve,
la serva battuta e persa.
Oh la chitarra spezzata alla ringhiera
i poeti non ti possono alzare,
sono semenze gettate nella ruota
che macina i pezzenti.

Lucania teatro perso
le marionette si aggrappano a noi,
non ce la facciamo pił
a cucire gli arlecchini
appesi alle monete.

Solo i fanciulli restano a te
i tuoi figli carcerati e persi,
madre mia coi capezzoli rotti
la tua voce č dilaniata e persa.

Michele Parrella


GUARDAMI OGGI

Potresti dirmi cosa vedi,
oppure mentirmi dicendomi
ciņ che io vorrei.
I campi di grano in cui ho corso,
i falchi che ho ammirato,
le serpi sfuggenti
e il sole che ci abbracciava senza distinzioni.

Domani chiamami
con il nome della pioggia
che bagna l’erba all’improvviso
o quello di un contadino antico
che dormiva con il mulo
e dal mulo solo accettava consiglio.

Lasciami andare oltre il sentiero
scalando quel monte di fuoco addormentato
dove ho lasciato l’anima
raccogliendo un fiore per te.

Lo vivremo ancora quel tempo
e allora mi chiamerai come vorrai.

ERI MAMMA DI LATTE

Intensi
i miei giorni d’infanzia,
cavalcavo le nuvole
su strade strette
colme d’arte e mestieri

regalavo dispetti
ad uomini-muli stanchi,
portavano ortaggi preziosi
per l’inverno provviste,
menavano asini
ondeggianti
sotto some gravose

a ragazze stizzite,
permalose,
pizzicavo le braccia

d’uncinetto
con fili sottili
creavi opere d’arte,
reliquie;
aspettavi alla luce
di stelle e di sole,
porto sicuro
la tua larga gonna nera

eri mamma di latte
e saggezza.

E’ IL SUD

Quest’incantesimo di cicale e di grilli
che stordisce ancora il sole e la sera
di calori infossati e di schianti ostinati
nell’aria pił stupefatta di questa terra
alla riva incantata della malvarosa
e che ubriaca la luce del grano maturo
nella spiga calda di paglia e di pula
delle lucciole e dei dirupi di fosfene
alle mani sbrancate dei favoni di crete
č il sud.
E’ il sud
quest’odore di zigara e di limone
che attacca l’anima alla porta spampanata
delle sarte infortite di plenilunio
per tutte le croci e tutti i panni stinti
e che spalanca fiumare e calanche di menta
al precipizio salato del mare nelle vie rosse
di canti e di gridi appesi alla sorte
di questa terra che s’innamora dell’acqua
e ciglia e figlia lavinari pieni di storie.

Questo senso di olio e di vino
che addolcisce e pacifica ancora l’oblio
di queste piaghe emigrate messe alla sperduta
a seccare nelle terre fatate delle ricordanze
di figli scannati nei maiali delle case
e che mortifica questi vecchi sperduti
nei sedili di sole e di pietra alla giornata
nelle orme d’ombra alle mosche di morte
verminose di falene e di transiti mortacini
č il sud.

LA CASA VECCHIA.

La casa vecchia č passata ai gridi della paura
attaccata ai pianti non darą il seno alla gola
e non berrą la terra della sera ai piedi duri
che avevano misurato soli agli orti di morte.

Alla ramiera appendeva nei giorni di Pasqua
la lucentezza di gabbia solare al riverbero
e alle piogge crepitava alla fiamma del ceppone
con le facce di lardo e di granate alle canne.

Al ritratto immobile del nonno sconosciuto
teneva le credenze contadine piene d’annate
sotto il letto alto di foglie di pannocchie
e al cateratto usciva il mommo dalle scale.

Alla cristalliera conservava la dote a vista
solo la mano di mia madre spicchiava agli orli
dei bicchieri d’acini e dei piatti campestri
che toccava fragili solo alla lavatura stagionale.

Ai cielirasi della stanza buona aveva segnate
fette di meloni e fruttiere all’aria fiorata
alla bussola sapeva di mistero e di sacrario
con la specchiera e col Cristo acceso all’angoliera.

Pasquale Totaro Ziella - “D’amore e di morti”


Al popolo lucano

Giobbe non ebbe tanta sofferenza
quante ne hanno i miseri lucani.
Quivi la gente, presa da demenza,
se evita i lupi…cade in bocca ai cani.

Non lesinar…Signor…la tua clemenza,
benedicendo gli stentati pani.
Altrimenti si perde la pazienza
a nei siti ne andrem certo lontani,

ove si ignora il nome di elettore,
di deputato uscente… o da rifare…
che ci levan la quiete in tutte l’ore.

In un sol punto lo si puņ trovare
questo desio ardente d’ogni core:
al polo nord…ove č ghiacciato il mare.

Antonio Vitale


ASTRI

Geometria lucente
favole di cristallo
bagliori di schegge
che fioccano
risucchiati dal buio
che muore
aridi corpi gelidi
i loro cuori
inferni incandescenti
lontani e dolenti
splendidi a miliardi
enormi ed affascinanti
pericolosi al tempo
stesso.

Felice Gerardo Angelone


Paesi della mia terra,
caparbiamente piantati
sugli aspri monti a sfidare
l'urto rabbioso del vento,
chiusi nel cerchio dei giorni
lunghi ed eguali, fermati
senza domani nel tempo.
Il falegname prepara
col rozzo legno d'abete
la nuova culla e la bara

Giulio Stolfi


LUCANIA

Mia madre non si chiede perché č nata qui,
noi siamo figli innervati di silenzio
mia madre non si chiede perché siamo scappati.
Noi siamo i dispersi
laureati raccomandabili
camerieri al Caffč Canova
cuochi di Holloway road
inquilini sotterranei
portieri di Milano
facchini di Boulevard Saint Germain
stallieri nelle Pampas
puttanieri d’ogni luogo
locandieri di Buenos Aires
predatori gentili di Montecarlo
morti di fame a Caracas
siamo i tuoi figli.

Lucania
non sei verdi declivi, faggi o versi d’Orazio
tu sei i tuoi dispersi.

f.arleo


Maggio

Ansimanti su ardenti muretti di pietra lavica
bambini sudati e disfatti dalla felicitą
per noi fiorivano sogni mentre
volavamo accompagnando le rondini,
le spighe pungenti nei calzini allentati.

Tra sapori odorosi d’origano e cipolla
pane bagnato e pomodoro
mangiavamo famelici ridendo,
nella spasa le mani verdi di erba
come un branco di lupi intorno alla preda inerme.

Nel vento odori lontani e familiari;
ne rimane ricordo nella memoria
forte come l’amore e la morte
perduto insieme all’infanzia
accanto ai fantasmi delle persone perse.

Antonio, un lucano a Firenze


Intorpidiva il Sogno le membra:
si sfogliava nel lento scorrere degli astri.
Il fitto corteo di ombre
ondulava il cielo tra invisibili mani.
Languide ciglia si sollevavano su un corpo
e lo schiaravano:
germogli d’amore, sussurri,
la rosa profonda e il frutto
sospesi all’Albero della Luce.
Cedevole e sciolta la piuma
caldo e irto il ventre.
Il fiore vellutato si apre:
la notte entra affusolata nel fogliame.


Verso la Sorgente nascosta allunga i rami:
il frutto penetra sinuoso e languido.
Errante gioia umbratile e delizia,
nei giri trepidanti
sensualmente vive.
Spruzza odori tra gli eucalipti
e le erbe e i germogli.
Dal fuoco nascono fiori dall’incomparabile
profumo su cui il maschio-fiore si nutre.
Sull’albero-erba vola la farfalla femmina
coperta di aromi.
Ha il volto cosparso di polvere gialla
e di mirre rosse: il giardino di Adone
risplende nella sensuale ora.
 

Cristina di Lagopesole ... poesie tratte dalla raccolta “Movimenti dell’anima” Piero Lacaita editore


ALLEGORIA DELLA MORTE

E' nell'oscuritą che infuria il vento sulle vene,
acceca la sabbia minuta, filtrante
a spaccare i pił forti motori nei deserti.
Allora passano di corsa
anche cavalli senza cavalieri e sterminati treni vuoti,
e vibrano - come di giorno - certi suoni di organo,
atonali come bastone su maschera di alberi maceri.

Quando pił siamo ombre
sorprese dalle mareggiate delle nuvole e dalle sue
lingue di fuoco che a rapirci si allungano,
apprendiamo che non puņ toccarci,
fissata all'acciaio della scienza o della religione
e che di lei a noi solo rimane
l'antica allegoria della catena di ossa e dei vuoti
occhi che mirano l'esatta perentorietą del taglio
- calcificata all'oscura sostanza del castigo.

Perņ, frequentemente si strappano funghi dalle radici
che sono ossi a lamelle fosforescenti
e falci consunte dai morsi della ruggine
- nei fossati, nelle fornaci di calce estinta, nei cementi
delle costruzioni affogate nell'alta marea.

Puoi credere:
ciņ che fu sibilo di interstizi simmetrici e lampo invisibile
č opera di archeologi rendere
simulacro di vittoria suprema.

E allora, perché?

Cavalieri sono riversi sulla corona dell'abbeveratoio
tra i salici
su cui incidevano cuori e drappi di colore rosa
e cavalli atterriti rompono contro uno schermo gigante
fissato su due gambe agli incroci;
corrono treni vuoti
insolutamente
fischiando nei canali e tra i freddi sacrari;
vibrano rotti suoni di organo.


Franco Santamaria 


Rėscidde

Č sscesė a lunė indė Sandė Félė

rė cchianė nda rė vvijė forė i pannė
restėnė a gguardą i cuorvė ngiélė
ca strafochėnė ciacėlijannė.

Nu furnuarė mbėcatė dė farinė
cu uandėsinė nnandė enzė fórė
a lacrėmė dė lunė ca nun mmórė
acquasandė sė ammutė chianė chianė

"chiangėmė mmanė luna bėnėdéttė
rė vvócchė da sfamą' só' pproprjė tandė
chi cerchė carėtą nun č cundendė
i caddė lė rėnnovėnė i dėspijéttė".

Č scesa la luna dentro San Fele 
i sassi nelle vie fuori dai panni 
restano a guardare i corvi in cielo
che si alimentano ciarlando.

Un fornaio imbiancato di farina
esce fuori con il grembiule

la lacrima di luna che non muore
si muta in acquasanta piano piano

"piangimi in mano luna benedetta
le bocche da sfamare sono tante
chi cerca caritą non č contento
i calli gli rinnovano i dolori ".



The moon has descended on San Fele
the stones in the street outside the clothes
look at the crows up in the sky
that look for food chattering

A baker white with flour
comes out with his apron on
the moon tear that won't die
little by little turns to holy water

"Cry in my hand blessed moon
the mouths to feed are many
who look for charity is not happy
his calluses reawaken his pain"

Assunta Finiguerra


Marta

arrivņ per l'ultimo treno,
parlava, cantava, vecchia esausta
una preghiera blasfema
"concedetemi il viaggio
e qualcosa da bere"

un sordo si alzņ
prese sogni e parole
e glieli offrģ in un bicchiere


Nina

viveva sola
e si burlava
delle mie paure
e dei miei amori

la cercai dappertuto
(…)
a trent'anni
la scoprii col cappotto
che spiava il Mondo
dalla serratura
della porta


Il falņ di San Giuseppe
i miei fantasmi
sono tutti appesi
all'orto del vicino
e seccano al sole
per il falņ di San Giuseppe

Teresa arriva all'angolo
masticando ingenua
il "sogno" dei bambini

salta vittoriosa
tra le fiamme
e non sa che ha il piede destro
bloccato
in una trappola per topi

Timpa Pizzuta

aveva lavorato una vita
per non sentirsi ai piedi
odore fresco di mastice
ma a Timpa Pizzuta
la strada rovinņ
e Nina perse le scarpe nuove
della festa

Il treno di Adalgisa

il viaggio di Adalgisa
č lungo, senza pause
e senza soste

si toglie le scarpe (da postina?)
chiede un posto al finestrino
la pasta con il pesto
il mosto con il resto
e un treno scon(ta)to
che arrivi presto

2002

 

Faccė mčiė

Stė matģnė chģnė dė troppė
E a nottė cä po’ ma ddummąnnė:
Quannė chiś vąggiė vėdč

Faccė meiė, dė gentė cłntčntė
Nd’ą nu strazzė dė tčrrė

Faccė meiė malčtė, ammśccčtė
Pģcchģ stanotte nun passčtė nd’ł suņnnė
Dė mi ca moriė

Purė sulė pė vė tucchč,
Purė sulė pė vė dicė, cumė l’utėmė ciłtģjė:
ną passčtė dė tičmpė.


Miei visi

Questi mattini, pieni di troppo
E la notte che poi mi domando:
Quando pił potrņ vedervi?
Miei visi, di gente contenta
In uno straccio di terra.
Visi miei malati, nascosti.
Perché stanotte non passate nel sonno?
Di me che muoio.
Anche solo per toccarvi,
anche solo per dirvi, come l’ultima stupiditą:
ne č passato di tempo.

 

A parolė bčllė

Addė a’stč mmičnzė a llatė,
addė a campč dė picchė,
addė a sapč dė tandė.

Ma sė purė tu cė muorė ca vucchė vacandė
E mčnė nu pčrė dė mutandė
Včlė u pčnė purė sulė pė gunė
ca te sendė da lundčnė.


La poesia

Deve stare in mezzo agli altri,
campare di poco e sapere di tanto.
Ma se anche tu ci muori con la bocca vuota
e le mutande in mano, ricorda: vale la pena anche per uno,
uno soltanto, che ti sente da lontano.

f.arleo


 NOSTALGIA

Mi parleranno ancora i verdi rami
se chiederņ di dirmi perché tanto
ha pianto l’usignolo questa notte?
O forse avete voi dimenticato
che un tempo ridevamo con la voce
eguale, che sapeva di sospiri.
Io vi tendo le braccia;
date ancora le vostre labbra dure
alle mie labbra senza ferite
e fasciatemi il capo di frescura
e accoglietemi assieme sul suo petto
di antico dio legnoso.
Ho reciso le chiome in sacrificio,
le ho disperse nel vento
e non son pił vestale
di un tempio senza Dio,
sono una foglia stanca
che il vento non sa pił dove portare:
tenetemi con voi, fatemi tutta
eguale a queste mie verdi campagne,
frusciante e sorridente
per una volta ancora; il tempo solo
di ritrovare l’antica stagione
e morire d’autunno per un lento
male di nostalgia.

Giuliana Brescia


VITA NUOVA

Un’eco
sibila in cuore.
Tu lo straniero
che dimora in me.
Percorriamo
sentieri notturni
a raccogliere
polvere di stelle.
Valichiamo
passi incontaminati
per irradiarci
alla prima luce
del mattino.
Conquistiamo
mete inaccessibili
e nella mente
risuona un messaggio
di vita nuova.

TETI LICURSI


UN'OCCASIONE MANCATA

Un povero diavolo, che, moriva di sete,
mi chiese, un giorno d’estate,
di lasciargli leccare il gelato.

Accettai, e lui, in cambio,
mi regalņ un carbone acceso.

Il gelato fu tutto una fiamma.
Il carbone divenne un ghiacciolo.
Aveva occhi di fuoco,
e riccioli neri.

“Non hai imparato a peccare – mi disse –
e ghignando mostrava denti smaglianti,

non meriti che litanie,
lą dove gli angeli
sgranocchiano confetti e preghiere,
ed hanno denti tutti cariati.

Se almeno me lo avessi negato,
il gelato, lasciandomi morto di sete!
Come premio, un morso alla gola:
avresti assaggiato, almeno una volta,
un piacere d’inferno”

Mi tirņ la lingua,
scarlatta, tra turgide labbra,

e volņ via
in una nuvola infuocata dal tramonto.


LA SCALA MOBILE

Io, in paradiso,
voglio arrivarci sul tapis roulant.

Una scala sempre verde,
che comincia sempre
e non finisce mai,
passa tra le nuvole,
sotto archi di fulmini allegri,
un prato con le ruote
che trascina da una primavera all’altra
fiordalisi, papaveri squillanti,

e amori sempre nuovi,
come il tuo di ieri.

Gina Labriola


SENTIRE DENTRO

Non azzurre cime
si stagliano all’orizzonte
riempiendo l’infinito

Né rocce secolari
inaspriscono il paesaggio
Schivo, Segreto
Lineare
di
campi
case
acque

L’occhio cerca
l’infinito

al Cuore
manca
la mia montuosa
terra

Carmela Chiarelli


INVOCASTI REQUIEM

Invocasti requiem
all’usitato verso.
Stride il dente
al gallo arrosto.
E non lascivo canto
di superna giostra
Degnasti Saffo ombrosa
scherzare con vetusto Pardo.
Silenzio
Perché piange
rabbia.

Di Michele Albanese


Crepati i porci
per l’ingrasso
e franava
la casa con la terra
morto il bambino
- aveva cominciato col bambino –
bruciata la ciminiera

Bivacca sempre a lungo
il pregiudizio sotto vesti
nere
appronta i chiodi
con gli sputi
e la civetta
appostata tra le crepe
fu alfine cristo
sullo stipite.

Graffia l’aria
lo stupro
un sabato di palme
datato col carbone.

Vincenzo Celano


E’ CARNEVALE…RESTA LA DANZA DELLA VITA…!

I tamburi rullano forti
La danzatrici avanzano
a suono di musica
per le strade del paese
e annunciano
la festa di carnevale
inizia…!
Allora scorgo
in questa lunga sfilata
un messaggio di vita
un fiore grande
accanto alle mitragliatrici
per simboleggiare: pace…no la guerra
La festa… gli scherzi gioiosi
i carri allegorici
ma resta pur sempre il pensiero
di una danza alla vita…
senza dimenticare l’incombere
di una guerra
.  

Immacolata Venturi


IL SILENZIO

Io e te, mamma parlavamo con il silenzio
tu posavi il tuo sguardo su di me
mi inseguivi, finche' sparivo alla tua vista.
Dolcemente sorridevi se alzavo gli occhi
e poi ti ritraevi
quasi vergognosa per aver colto il tuo guardare.
Piccola dolce mamma
non avevi molto da dire
a questa figlia amata
che ti girava intorno
carezzandoti il capo
come ad una bimba.
La tua mano ogni tanto
mi sfiorava come a dire:
"Stai qui, accarezzami
non andare, forse oggi é l'ultimo giorno
che i miei occhi ti possono guardare".
Ma io ti lasciavo, presa
da mille cose e tu tornavi
al tuo silenzio, tristemente.
Mamma, quante cose
mi dicevano i tuoi occhi,
quanti ricordi riaffioravano
nella tua mente.
Ricordi di una bimba
aggrappata alla tua mano
e quando la tua mano era piena
stringevo il lembo
della tua gonna.
E di notte quando un sogno
mi faceva sobbalzare
mi infilavo nel tuo lettone
e tu silenziosamente
mi stringevi al tuo petto
rassicurante.
Oggi un amico mi ha ricordato
il tuo silenzio
e sul mio viso e' rotolata
una goccia
candida come un brillante.

Sei tu....che brilli sempre
nel mio cuore... mamma.

Grazia Ferracane  di Muro Lucano

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