AMMONT ALLA TABBELL'

    "Accapammont" e "accapabasc", oppure "ammont" e "abbasc": sono le espressioni dialettali più comunemente usate a Banzi per indicare il posto dove si sta andando. Quando, per esempio, al pomeriggio, od alla sera, passa davanti a casa mio cugino Peppino e si ferma con la bicicletta a salutare mio padre, se gli chiede dove stia andando, egli risponde semplicemente "accapabasc", cioè verso la piazza. Viceversa, se egli sta per abbandonare la piazza e fare ritorno in via Garibaldi, dovendo comunicare a qualcuno tale sua intenzione, dirà che se ne sta per ritornare "accapammont".
    Ed ancora, anche per indicare il fare avanti ed indietro in piazza si usano tali espressioni: in estate alla sera la gente vi fa tanti "abbasc e 'mmont". A dire il vero, però, l'estate scorsa ho sentito qualcuno usare un'espressione anche diversa per indicare il passeggiare in piazza: una persona, infatti, per comunicarmi l'intenzione di rincasare, mi ha detto che avrebbe fatto l'ultima "vasca". Tale espressione è comunemente usata a Varese, ma ho dovuto rendermi conto che non era esclusiva di quel posto, perché la persona di cui trattavasi non aveva mai avuto a che fare con la "città giardino".
    Evidentemente le nostre espressioni dialettali riflettono la peculiarità dell'essere il territorio di Banzi collinare, sicché gli spostamenti delle persone vengono descritti in modo simbolico con lo scendere giù oppure il salire.
    A conforto di ciò che sto dicendo posso addurre anche la testimonianza lasciata dal mio omonimo collega web master Antonio Sapio in un blog su Tiscali titolato "Abbasciavanzudd", meta da lui più frequentata di me, avendo suo padre in quel posto "l'urtcidd", dove perpetuava con altri ortolani del paese l'antica attività dei monaci.
    Le mie mete invece, quale "crucicchiar", si collocavano più "ammont" che "abbasc", anche se non disdegnavo "abbasciavanzudd", anzi tutt'altro, quando mi capitava di andarci insieme a mia madre, allorché ci si recava per lavare i panni, un po' smentendo il luogo comune che "i panni sporchi si lavano in casa".
    E pian piano che  passavano gli anni, mi sono spinto sempre più in là: sembrava una meta lontanissima quando la prima volta arrivai "ammont o' pont'" con qualche compagno!
    Faceva impressione ritrovarsi tanto lontani dal paese, avvertendo quasi un senso di smarrimento e pericolo, che veniva accentuato dal sibilo della corrente che proveniva dai cavi dell'alta tensione, sui cui pali campeggiava il cartello con la scritta "chi tocca i fili muore", accompagnata dalla macabra immagine del teschio con le ossa in croce; senza dire poi dell'abbaiare di cani che proveniva da diverse parti. All'epoca non passava neppure una macchina, ci sedemmo per riposarci un po' sul muretto del ponte, ma ad un certo punto cominciai a sentire improvvisamente in mezzo alle gambe come dei pizzicotti o morsi: erano le formiche rosse che vi si erano infilate nei pantaloncini e che volevano nutrirsi di un po' della mia carne.
    Se già "ammont o' pont'" era un posto remoto, sembrava una meta davvero fuori dalla mia portata, collocata al limite del mondo e raggiungibile solo con la fantasia, quella che si soleva indicare dicendo "ammont alla tabbell". Per di più non si aveva motivo di andare da quelle parti, perché a Genzano ci si recava allora sempre a piedi: anche mio fratello, che lì ha frequentato tre anni di scuola all'Istituto di Avviamento Professionale, c'è andato sempre e solo a piedi, in compagnia del sopra citato Antonio Sapio, Mario Simone, Giovanni Tagliente, Gerardo Di Meo, Canio Di Bono ed altri. Ed immagino come arrivassero a scuola, quando la strada percorsa, che era di campagna e pertanto col fondo di terra, si trasformava in una fanghiglia se pioveva: ma i bidelli forse non protestavano più di tanto perché saranno stati all'epoca più comprensivi e tolleranti.
    Giunse però il giorno in cui ebbi modo di scoprire dove si trovasse questo remotissimo posto. L'occasione fu - e non poteva essere altra che quella - la solita festa della Madonna. Quella volta non andammo tutti della famiglia al mattino presto, come di consueto, io rimasi con mio padre e ci recammo a Genzano solo al pomeriggio. Per l'occasione ci andammo in bicicletta, e mio padre se la fece prestare da suo fratello Nicola. Ma, in due su una bicicletta, con le gomme entrambe scarsamente gonfie, fu un'impresa la salita della "tabbell": quante volte ci fermammo tentando di gonfiare le ruote, che forse avevano le valvole che perdevano! E per mio padre fu un bagno di sudore, potendo così sperimentare il detto secondo il quale "chi lascia la strada vecchia e prende la nuova, sa cosa lascia e non sa cosa trova". Ma, fatta a tratti a piedi la salita, superata la "tabbell", non fu difficile poi, pur con le gomme sgonfie, arrivare a Genzano.
    Successivamente, quando si voleva dar prova di audacia, ci si spingeva in quel posto lontano, disponendo di qualche bicicletta. Io ci andavo col mio vicino di casa Erminio, che prendeva la bicicletta di suo padre. Aveva il portapacchi dietro, sicché egli mi trasportava più comodamente che sulla canna. Ma non aveva i freni, e le ruote erano senza parafango. Allora al ritorno, in discesa, ci si lanciava in una corsa vertiginosa e spericolata: tuttavia il rischio di finire contro qualche macchina era pressoché inesistente, tanto che una volta vedemmo sull'asfalto due biscione nere attorcigliate che facevano l'amore in tutta tranquillità. Il fatto però che la bicicletta fosse priva di parafanghi aveva qualche effetto per me che, andando seduto dietro, strisciavo col sedere sulla ruota e mi consumavo i pantaloni.
  
Curiosa sarà stata la ragione perché quel posto, ad un certo punto, sia stato indicato "ammont alla tabbell". Evidentemente lì sarà stato installato il primo cartello segnaletico nell'ambito del territorio di Banzi, perché essendo un incrocio stradale, a un certo punto si sarà reso necessario indicare ai rari passeggeri quale strada imboccare per andare a Potenza-Genzano, e quale per Acerenza o Banzi-Palazzo San Gervasio. Altrimenti uno come faceva ad orientarsi? E se l'avesse chiesto a qualche pastore che circolasse nei paraggi - che in vita sua avrà conosciuto solo Banzi ed al massimo Genzano - questi dubito che sarebbe stato capace di dargli indicazioni utili per andare per esempio a Potenza, od Oppido o Pietragalla.
    Col tempo le indicazioni segnaletiche si sono vieppiù arricchite, e si è reso necessario indicare anche la direzione verso l'autostrada, o la "Città d'Orazio", all'ipotetico turista che si trovasse a transitare da Banzi. Egli rimarrebbe però forse un po' frastornato se, avendo fatto gli studi classici, ricercasse anche la "Fons Bandusiae". Lungo l'itinerario un primo cartello giallo "abbasciavanzudd" - mezzo arrugginito e scrostato, posto parecchi anni fa dalla Pro-Loco - lo indirizzerebbe verso la "ripa di carnevale", lasciandolo forse un po' sbigottito nel vedere quale sia (ed in che condizioni) il rigagnolo al quale il grande vate latino aveva profetizzato sarebbe diventato famoso, ed annoverato tra le nobili fonti.
    Ma, fatti alcuni altri chilometri, in territorio di Palazzo San Gervasio, ecco rispuntare un altro cartello che rivendica invece trovarsi là la fonte del canto oraziano. Senza dire poi che, se avesse letto il saggio di Michele Feo sull'argomento, dovrebbe recarsi anche a "Capodacqua" di Genzano, per sincerarsi che invece non accada che si verifichi al riguardo il detto "tra i due litiganti il terzo gode", e la "Fons Bandusiae" non sia da localizzarsi piuttosto alle falde del paese della Madonna.
    Se mi fosse consentita una supposizione, oppure scegliere il luogo, direi che quello più consono all'atmosfera poetica dei versi di Orazio, sembra essere proprio "Capodacqua" di Genzano, dove il paesaggio è davvero suggestivo e l'acqua è fresca ed abbondante, come in tanti possiamo testimoniare per esserci andati a ristorare, prima di affrontare la ripida salita del "paese vecchio", recandoci nel passato a piedi alla festa della Madonna, al mercato, od alla fiera.
    "Ammont alla tabbell" si è aggiunto nel tempo anche il cartello segnaletico per Forenza, allorché è stata costruita la nuova strada di collegamento per quel paese, ed il bivio non appare più deserto, ma sono sorte vicine delle costruzioni ed una cappella per la Madonna. Tutte le periferie del paese, da "abbasciavanzudd ammont alla tabbell", sono disseminate qua e là di cappellette e statue varie dedicate a Madonne, Gesù e Santi, che sembrerebbero indicare una particolare, forse esagerata, devozione religiosa della gente. Comunque, anche se la loro presenza non può necessariamente far inferire un siffatto fervore religioso, esse sicuramente non deturpano l'ambiente e non fanno "niente di male", per mutuare la risposta che davano a mia madre alcune signore quando, passando loro davanti, in segno di saluto, chiedesse cosa stessero facendo.
    Ora "ammont alla tabbell" è diventato un posto a portata di mano; quando sono in vacanza a Banzi ed ho voglia di sgranchirmi con qualche corsetta, quel luogo è diventato una facile meta, che si supera spesso e volentieri, e di parecchio anche.
    Qualche anno fa, accontentai mio nipote Flaviano a fare un giro in bicicletta - ancora egli non aveva la patente e non usava neppure la vespa, ignorando pertanto quante volte sarebbe stato fermato dai carabinieri di Banzi, forse con vivo loro disappunto, perché non sono mai riusciti a trovare il motivo per una contravvenzione, non beccandolo mai neppure senza casco, che egli indossa rigorosamente e puntualmente prima di salire sulla moto.
    Giunti alla "tabbell", volli esplorare la strada per Forenza e, una pedalata tira l'altra, vi giungemmo in paese. Sottovalutai però la stanchezza che avremmo accusato per il ritorno e, ripartiti che era incombente la sera, la salita per giungere "ammont alla tabbell", dall'opposta direzione facendo un diverso percorso, non finiva più e la "tabbell" non compariva mai.
    Per incoraggiare Flaviano, stremato, a pedalare ancora, gli dicevo: - "dai, dopo quella curva sicuramente vediamo apparire la tabbell", ma quante ne dovemmo fare e quando la riuscimmo ad intercettare nel cielo fosco, mi venne anche il dubbio che essa non fosse un miraggio! Ma conquistata la cima della strada e l'incrocio della "tabbell", quel posto, paradossalmente, assunse allora il significato di ritrovarsi quanto mai vicini a casa. Ed infatti, in una volata vi giungemmo.
    Io mi presi qualche sgridata perché non era quella l'ora di ritornare, avendo suscitato un po' d'apprensione e preoccupazione a mia sorella e cognato. Ma per mio nipote, quella, sarà stata sicuramente una bella avventura che ricorderà e racconterà volentieri ai suoi figli, un'avventura peraltro unica, che non ha voluto più ripetere, perché successivamente, quando arrivavamo "ammont alla tabbell", egli non si è lasciato più convincere a svoltare per Forenza, neppure per fare cento metri.
    Adesso forse "ammont alla tabbell" sarà aggiunto ancora un altro cartello segnaletico all'incrocio, sul quale, così come Venosa viene indicata "Città di Orazio", od Acerenza "Città Cattedrale", comparirà la scritta Banzi "Città delle terme", dopo l'ultima scoperta archeologica fatta nel recinto della chiesa. E qualche turista di passaggio penserà sicuramente di fare una sosta in paese, per ristorarsi alla "Fons Bandusiae", per rinfrescarsi e ritemprarsi alle terme.
    Quanto all'alloggiamento, chiederà al primo banzese che incontra di indicargli dove si trovi l'agriturismo di "Moncamasone" e, se ad incontrare quel turista fossi io, tale informazione gliela darei con entusiasmo, giacché coglierei anche l'occasione per approfittare di far avere i miei saluti a mia madre, non appena vi fosse giunto.

02 gennaio 2005

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