CLASSICO CASO DA GABIBBO

     

 

 

Da pensionato uno come me che fa?

Fra le diverse attività, andare anche a spasso qua e là, ammirando il mondo circostante.

Capita così di leggere anche delle lapidi, non mancando mai di soffermarmi davanti ad una incastrata allo spigolo di un edificio in sassi situato in via Sant'Antonio a Besozzo Superiore, per riflettere sulla profonda verità contenuta nell'aforisma che vi è inciso: "meglio il bacio al lebbroso che la stretta di mano al cretino".

Qualche giorno addietro ne ho scoperto un'altra, posta sulla facciata dell'edificio della scuola elementare della frazione di Bogno (quella riportata in alto) per onorare la memoria della benefattrice Margherita Quaglia, alla quale è intitolata anche la strada in cui si trova la scuola medesima.

L'apposizione della lapide da parte dell'amministrazione comunale di Besozzo risale al 13 maggio 1956, data in cui non avevo compiuto ancora cinque anni (proprio oggi li compie invece un altro Antonio Carcuro mio nipote clicca qua e qua) ed ignoravo l'esistenza di questo paese, essendo a me noti solo Banzi e Genzano di Lucania, nel territorio dei quali ritenevo fosse racchiuso il mondo intero.

Ovviamente ignoro anche chi all'epoca ricoprisse la carica di sindaco a Besozzo, probabile estensore della dedica fatta incidere nella lapide.

Senonché si dà il caso che l'ignoranza mia suddetta abbia trovato compagnia nell'ignoranza di quel sindaco in grammatica.

Infatti, se la professoressa di lettere Iolanda Cosentino, nel biennio di ragioneria a Palazzo San Gervasio (famoso perché da Lauria - lo stesso paese dei fratelli Gianni e Marcello Pittella - venivano a frequentare l'istituto tecnico commerciale due sorelle, e perchè il 10 luglio 2018 è stato ivi arrestato al CPR - centro di permanenza per il rimpatrio - un terrorista macedone), ci aveva martirizzati non poco con l'analisi del periodo, spiegandoci che i tempi dei verbi contenuti nelle proposizioni subordinate debbono necessariamente concordarsi con quelli delle proposizioni principali, quel martirio subito vale ora per rilevare che la "proposizione subordinata finale" contenuta nella dedica lapidea è scoordinata nel tempo del verbo con quello della "proposizione principale", palesando essa un grossolano errore, particolarmente grave perché la lapide fa bella mostra di sé nientedimeno che sulla facciata di una scuola, non su un monumento funebre, dove i morti non si accorgono di nulla ed i vivi girano con la vista offuscata dalla tristezza.

Tuttavia, se qualche vivente si fosse accorto dell'errore e, una volta nell'aldilà, fosse andato a riferirlo a Margherita Quaglia, immagino che tale benefattrice possa essere rimasta male, corrucciandosi anche, per la brutta figura che la lapide reca alla sua memoria, lapide che, nelle intenzioni malamente tradotte, intendeva invece onorare.

Dubito però che negli oltre sessantadue anni trascorsi dal 13 maggio 1956, ci sia stato qualcuno ad accorgersi della sgrammaticatura, modestamente rilevata da me e prontamente segnalata al sindaco di Besozzo.

Porrà egli rimedio?

Ai posteri l'ardua sentenza: nui chiniam la fronte al Massimo Error, che del creator suo spirito il 13 maggio 1956 più vasta orma volle stampar per opera dell'amministrazione comunale di Besozzo.

 

 

POST SCRIPTUM

 

Ove ci fosse qualcuno che non lo avesse ancora capito, il verbo da correggere è "possano", che deve essere sostituito con "potessero", in modo da coordinarsi col passato remoto "volle".

Anche se non da lapis blu, correggerei anche un altro termine improprio rilevato nella dedica, sostituendo "animo" ad "anima": questa è un'entità metafisica dell'aldilà, mentre l'anelito della benefattrice in vita scaturiva invece dal suo "animo".

Comunque il sindaco di Besozzo in carica nel 1956 potrebbe anche non essere stato lui l'estensore della dedica, un po' come succede per la maggior parte degli atti prodotti nei comuni (delibere, ordinanze, ecc.).

Però, come capo dell'amministrazione comunale, avrebbe anche potuto leggere la dedica prima dell'incisione ed accorgersi dell'errore.

Tuttavia, per pluriennale esperienza diretta avuta, i sindaci firmano pressoché tutto ad occhi chiusi.

Per esempio, andando a cercare sul sito del MEF le delibere relative alla determnazione delle aliquote IMU e TASI del comune di Banzi, per assolvere alle mie obbligazioni tributarie, leggo nel corpo delle stesse che non è stato sostituito Banzi a Lavello.

Ma questo è un dettaglio secondario di cui sarebbe pretendere troppo che il sindaco se ne accorgesse. Del resto, parafrasando una simpatica pubblicità sulla pasta, per fare una buona delibera IMU, quello che conta è l'aliquota, la più alta possibile, e ciò basta.

Peccato che col mese di giugno scorso ho finito per sempre di mangiarmi tale gustosissimo piatto tributario!

Comunque non perderò certamente il vizio di osservare le lapidi sparse per il mondo e prossimamente porrò molta attenzione nell'osservare se per caso a Cervia abbiano scritto malamente qualcuna dedicata alla memoria di Grazia Deledda, sua cittadina onoraria.

Sarebbe davvero scandaloso ed imperdonabile che qualcosa di simile a quanto raccontato in questa pagina fosse accaduto anche per il primo premio nobel della letteratura italiana conferito ad una donna scrittrice!

Nell'attesa, prima di chiudere questa pagina, voglio raccontare un episodio gustoso accaduto in un comune verso fine anni ottanta.

 

All'epoca c'erano ancora i comitati regionali di controllo sulle deliberazioni comunali e quello di Varese fece pervenire un'ordinanza di sospensione su una deliberazione di giunta. Ritenendola esagerata, mi stizzii al punto da fare una risposta intrisa di ironia, praticamente una berlina.

Il sindaco (che non era uno dei tanti quisque de populi conosciuti, bensì un professore, pilota di aerei e quando prendeva gli appunti durante le sedute consiliari scriveva in arabo), avendo piena fiducia in me, la firmò ad occhi chiusi.

Senonché il tono della risposta non piacque affatto a quelli del Co.Re.Co. e, sentendosi lesi nella loro maestà, convocarono il sindaco per la seduta in cui sarebbe stata trattata la pratica. Purtroppo però il sindaco ebbe una distrazione e si presentò il giorno successivo alla data fissata.

Oramai la deliberazione era stata annullata. Chi se ne fregava, me lo aspettavo già ed avevo la soluzione per rimediare. Quello che contava era irridere il Co.Re.Co. e ci ero riuscito bene.

La prova l'ho avuta a distanza di anni allorché, soppressi i Co.Re.Co. provinciali, mi recai una volta a quello di Milano. Incontrando l'ingegnere Beneduce, uno dei funzionari apicali della struttura, una volta a Varese, mi invita nel suo ufficio. Dott. Carcuro - mi dice- debbo mostrarle un cimelio che mi sono portato da Varese. Apre il cassetto della scrivania e che cosa tira fuori? La mia risposta all'ordinanza di sospensione: meritava davvero di essere conservata, mi dice, era troppo bella, unica.

Comunque, immagino che non sia solo l'ing. Beneduce a conservare nella scrivania le mie berline, ci sarà anche qualcun altro che le conserva, che ne fa la collezione, giacché non è solo una che gli ho dedicato. 

E quelle berline - esclusivamente soltanto quelle - le custodisce con gelosia e passione.

Sapete perché?

Non gli piacciono le station wagons.

Ah, ah, ah,ah, ah!... continuare ad libitum.

Ma ad onor del vero qualche cimelio lo custodisco anch'io. 

Uno di questi è costituito dalle riprese fatte a Banzi con la mia cinepresa super 8 nell'agosto 1984, primo mio anno di segretariato comunale.

Fra le scene riprese, quella dei lavoratori a piano di spine mentre scarriolavano fra gli scavi archeologici. 

Tra di essi uno che avrebbe fatto 26 anni il giorno successivo al compleanno di mia madre e che sarebbe diventato primo cittadino per omnia saecula saeculorum.

Cos'altro dire a questo punto?

Amen!

 

 

16  luglio 2018

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