CORONAVIRUS

non vi farò mai vedere chi sono io

 

Chi è potente sulla Terra lo ostenta in tutti i modi. Lo fa perlopiù con parate militari di battaglioni di soldati marcianti e missili su autocarri; con espressioni truculenti del volto (Mussolini ed Hitler); facendosi riprendere (Trump) mentre firma provvedimenti; lanciando missili a lunga gittata (Kim Jong-un). 

Ma c'è anche chi, come Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare cinese, per esibire la sua potenza, si avvale semplicemente di un bonario sorriso, o, come la regina Elisabetta, di cappelli di varia foggia e colore messi sul capo. 

I pontefici poi dissimulano la loro potenza sotto una falsa modestia ed umiltà, quando, dopo che il cardinale protodiacono ha proclamato, urbis et orbis, "Annuntio vobis gaudium magnum; habemus papam: Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum...", si affacciano sulla loggia esterna della Benedizione della basilica vaticana per rivolgere alla folla di fedeli il loro primo saluto: "dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore" .... esordisce così il neoeletto Ratzinger, qui sibi nomen imposuit Benedicti XVI.

Insomma, con il pot-pourri di esempi appena citati, tutti i potenti cercano di far vedere al mondo chi siano, e, se per caso uno ne dovesse essere ignaro, si sentirebbe sicuramente dire: "lei non sa chi sono io"!

Ma c'è chi, oltremodo più potente dei soggetti sopra indicati, che tutti insieme li fa tremare di paura, non ha bisogno di far vedere chi sia: il coronavirus.

Per quanto il suo nome composito possa indurre a pensare che faccia parte di una casta reale, la corona che lo designa non ha a che fare con la monarchia: l'erede al trono britannico, principe Carlo, può stare tranquillo, il coronavirus non ha nessuna intenzione di insidiargli il titolo di futuro re.

Ciò è dimostrato inequivocabilmente dal fatto che il coronavirus è andato a fargli un'amichevole visita, è rimasto con lui per una conviviale quarantena di quindici giorni e l'ha salutato andandosene via cordialmente. Quando è partito, si è affacciato pure al finestrino dicendo: porga i miei omaggi a sua moglie Camilla, duchessa di Cornovaglia.

Peraltro il coronavirus non ha voluto mancare di riguardo neppure nei confronti del premier britannico Boris Johnson: anche con lui si intratterrà per una gioviale quarantena.

 Ma, nonostante tutti i giorni trascorsi insieme, se uno chiedesse a Carlo, oppure a Boris, come fosse l'ospite avuto, che faccia avesse, se fosse bello o brutto, simpatico od antipatico, scommetto che essi farebbero scena muta come uno scolaretto che non abbia studiato affatto la lezione.

Tuttavia essi sono giustificati perché il coronavirus è molto discreto, ritroso, vergognoso, è come una mantide religiosa dell'umanità e, per quanto ci alberghi dentro, non si fa e farà mai vedere.

Epperò, ad onta della sua invisibilità, e pur senza minaccia di far uso di arsenali militari, ci costringe a doverci comportare come se fossimo in guerra, sotto il pericolo incombente di bombardamenti: non possiamo uscire di casa, i bambini non possono andare a scuola, i loro genitori non possono andare a lavorare. 

Sono quindici giorni che è nata la nostra nipotina Giulia ed ancora non abbiamo potuto vederla.

 

Lo spillover del coronavirus dai pipistrelli agli uomini ha terremotato in un attimo tutte le nostre certezze, sicurezze e benessere, lasciandoci sospesi nell'imponderabilità ed imprevedibilità, appesi al filo di una precarietà angosciosa.

L'hiv, l'ebola, la sars ed ora il coronavirus sono forse dei messaggi per l'uomo coi quali "qualcuno" vuole fargli capire di non considerarsi il re dell'universo; che la sua potenza e conoscenza sono relative; che, come i dinosauri, possono scomparire anche gli uomini dalla faccia della Terra, ciò che sarebbe peraltro cosa buona e giusta per tutti gli altri esseri viventi, dagli umani dominati e bistrattati, come se non avessero pure loro il diritto di godere della vita.

Si potrà anche arrivare a scoprire e produrre il vaccino per combattere e sconfiggere il coronavirus, ma chi nell'universo ha il potere di decidere le cose giuste da fare, non si arrenderà e non desisterà dal prendere altre iniziative per mettere le cose a posto con l'uomo, salga pure l'arcivescovo Delpini a Milano sul tetto del duomo a pregare la sua "bela madunina", o vada papa Francesco a pregare per la fine della pandemia nella Basilica di Santa Maria Maggiore e nella chiesa di San Marcello al Corso.

A parte le diverse migliaia di vittime ed il pesante impoverimento generale, sicuramente qualche altro effetto produrrà il coronavirus, ad onta dell'illusorio slogan ottimistico "andrà tutto bene": ad esempio farci acquisire un senso di contenutezza e timore, dare un valore diverso alle cose, farci rispettare gli altri esseri viventi, forse ritornare ad amare e coltivare religiosamente la terra (io già lo facevo prima) per poter avere qualcosa da mangiare quando non c'è più lavoro e non si dispone dello stipendio per andare a fare la spesa al supermercato e, vorrei sperare ancora uno, smettere di osannare il calcio che fa guadagnare cifre iperboliche in cambio di rendere i tifosi quanto mai stupidi.

Un ultimo effetto voglio ancora indicare che il coronavirus penso produrrà: farci ritornare ancora un po' bambini per la vaga paura che si impossesserà del nostro animo.

Intanto Giulia non conosce ancora la paura, non sa di essere nata in piena pandemia da coronavirus, non sa di avere i nonni e noi nonni la stiamo vedendo ancora solo in WhatsApp, felici e contenti pure di averla potuta vedere anche solo così, non essendosi il coronavirus presentato fin qui ad esigere alcun tributo alla mia famiglia.

Come invece fece la "spagnola" nel 1918, che il 16 ottobre si portò via, all'età di tredici anni, Teodosio, fratello di mio padre; e forse anche l'altro fratello Vito, all'età di ventisei, formalmente dichiarato disperso in guerra, che ho sempre ammirato in un grande quadro nella casa dello zio Rocco, posta a fianco della mia.

Così mio padre, il più piccolo della famiglia, all'età di sette anni perse due fratelli, dopo che altri tre erani emigrati in America ad inizio secolo prima che nascesse e che non avrebbe mai visto neppure loro, se non in qualche fotografia.

Come effetto collaterale il coronavirus mi ha fatto resuscitare questi tristi ricordi.

Vivano ora tutti quei miei parenti in una serena felicità nell'aldilà e rivolgano, se possono, il loro sguardo su di noi per proteggerci dal coronavirus.

Amen!

 

 

31 marzo 2020

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