DI VIGNA IN VIGNA

    Quando il 19 aprile 2005, avvenuta la fumata bianca, il cardinale Joseph Ratzinger si affacciò in piazza San Pietro, le prime parole del suo esordio da Papa Benedetto XVI, furono: "Dopo il grande Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore".
    L'esordio dei Papi avviene sempre con uno stile improntato sulla modestia, più o meno simulata: anche il Papa polacco, predecessore di Ratzinger, chiese umilmente di essere corretto quando avesse sbagliato a parlare la lingua italiana.
    Bisogna vedere però dopo, se chi viene eletto non si spoglia frettolosamente di quella falsa umiltà, indossando il vestito dell'arroganza e della tracotanza. I discorsi d'insediamento sono sempre di circostanza, seguono una sorta di cliché, un po' come quelli che fanno anche i sindaci, ma non si sa a cosa realmente mirino, quali siano gli ideali che li ispirano, quali i valori che portano dentro e che intendono realmente far affermare.
    Ritornando all'umile lavoratore di Ratzinger, se l'umiltà è una mera finzione per un imperatore della chiesa, speriamo che sappia conservare almeno quell'umanità di Giovanni Paolo II, la cui voce, fino agli estremi rantoli emessi per dare la sua benedizione nell'ultima apparizione del giorno di Pasqua, è rimasta incisa nell'anima di tanti di noi, anche miscredenti.
    Se la vigna citata da Benedetto XVI nella sua prima apparizione da Papa è solo una metafora, essa rappresenta invece un luogo reale, denso di ricordi, in tanti di noi, sicuramente ed in particolare dentro di me.
    La vigna era la meta meno lontana da casa, non difficile da raggiungere ed ambita, perché si andava a raccogliere, quando finalmente maturavano, i fichi, che rappresentavano, insieme all'uva, praticamente l'unico frutto alla nostra portata.
    Dentro la vigna mio padre ha trascorso una parte non irrilevante della sua vita, lavorandoci sodo, non facendo solo metaforicamente, come il Papa, l'umile lavoratore nella vigna del Signore, e quando egli è stato via in Germania, la vigna ha richiesto anche le mie prestazioni.
    Essa ha contribuito in modo essenziale al sostentamento della famiglia, ad alimentarci non solo e non tanto con i fichi, quanto con l'uva e le olive, con la verdura.
    Alla vigna finivano gli escrementi degli animali domestici (maiale, conigli e galline) e la cenere del camino, mentre lei, più generosa, ci contraccambiava con tanto ben di Dio, con in aggiunta sarmenti e canne (scamuzz) che servivano per accendere ed alimentare il fuoco in casa.
    Quando mio padre è ritornato dalla Germania, la vigna è stata la sua occupazione principale, trascorrendoci là le sue giornate, anche d'inverno, dove il freddo lo sentiva poco perché esposta a sud e pertanto molto soleggiata.
    E' arrivato però il tempo in cui ha dovuto arrendersi, perché la sua artrosi gli impediva di poter usare ancora la zappa, e pertanto, pur con dispiacere, si è visto costretto a vendere la vigna, per evitare che si trasformasse in un deserto.
    A prescindere dal titolo di proprietà, quando, facendo qualche giro, ci passo davanti, quel terreno, non più coltivato adesso a vigna, è come se continuasse ancora ad appartenermi.
    Un'altra vigna, meta forse ancora più ambita perché, a differenza di quella paterna, ricca di alberi da frutta varia (melograno, percoche, nespole, pero, melocotogni, prugne...), era quella del nonno materno di Genzano. Egli ci aveva autorizzati ad andare a raccogliere la frutta, e spesso con nostra madre facevamo delle spedizioni, ritornando a casa a Banzi stracarichi.
    Quella vigna l'ha avuta mia madre in eredità e, pur distante alcuni chilometri, essendo situata in territorio di Genzano, appena a valle del paese, mia madre ha continuato a coltivarla lei, in assenza di mio padre emigrato in Germania. Quando finiva la scuola, ci andavo anch'io ad aiutarla, non nascondendo che mi sentivo impacciato per il fatto che la strada da percorrere mi costringeva a dover passare davanti ad una certa casa con la zappa addosso, e mi vergognavo se chi ci abitava avesse visto così, nei panni di poveri zappatori, me e mia madre.
    Oltre a tanti alberi da frutta, la vigna del nonno aveva anche un pozzo, che ci risparmiava di dover andare ad attingere l'acqua alla fontana, come accadeva con la vigna di Banzi, quando bisognava irrorare le viti con soluzione di calce e verderame. Inoltre con l'acqua del pozzo ci potevamo dissetare a nostro piacimento, mettendoci dentro al fresco anche la bottiglia di vino. C'era un secchiello che, legato ad una corda, buttavamo giù nel fondo per attingere l'acqua, non poche volte pescando qualche lucertola o rana morte. Ci si limitava, allora, solo a fare un altro lancio, perché la sete era tanta e non si faceva caso agli animali annegati dentro il pozzo. Comunque, le analisi dell'acqua all'epoca non se ne facevano per verificare che l'acqua fosse potabile; io e mia madre l'abbiamo sempre bevuta, non solo sopravvivendo, ma senza avere avuto neppure un mal di pancia.
    Prima di averla in eredità, quando in estate capitava di trascorrere qualche giorno di vacanza dai nonni a Genzano, talvolta la nonna Caterina mi portava con sé a raccogliere la frutta. Nonostante fosse quasi ottantenne, era lei a trasportarla a casa, portandola in una ceste sulla testa. Incontrando nel tragitto altre signore, esse le chiedevano un po' trasecolate come mai non me la facesse trasportare a me. Ma lei ci faceva poco caso e, pur minuta com'era, si arrampicava per la ripida salita con quella ceste stracolma di fichi ed uva sulla testa.
    Quando mi capita di andare a Genzano a piedi, rimango trasecolato anch'io adesso al ricordo di come la nonna recasse con disinvoltura quel gravoso peso sulla testa. Tuttavia, rimango anche un po' schifato dai tanti rifiuti che costellano la strada, in particolare l'ultimo tratto a ridosso del paese, divenuto una discarica a cielo aperto. Riesco a trovare però qualche lembo non molto contaminato dove raccogliere la rucola fiorente e gentile che si sviluppa proprio in quel posto.
    Comunque, è davvero una sconcezza vedere le periferie dei nostri paesi deturpate da quell'ammasso di rifiuti dei più disparati e sarebbe opportuno che i sindaci che li comandano non si limitino a fare solo bei discorsi in occasione del loro insediamento e feste durante il mese d'agosto.
    Ma ritornando ancora alle vigne, io non so se, come ha fatto mio padre, avrò la possibilità di coltivarne una dopo che sarò andato in pensione. Una cosa però ho già fatto: mettere a dimora nel giardino di casa una pianta d'uva fragola (è stata una delle prime). In due anni è giunta fino al tetto del secondo piano e continua a correre ancora verso il cielo, sembrando quasi per andare a finire nella metaforica "vigna del Signore" di cui Benedetto XVI era un umile lavoratore.
    Sarebbe bello se ognuno di noi nella sua vita andasse a lavorare in una vigna come umile lavoratore, non solo in senso metaforico; almeno che lo si facesse nell'aldilà, in modo da provare tutti i ruoli, a cominciare già dal Papa neoeletto, sì che egli possa, con cognizione di causa, affermare di essere un umile lavoratore della vigna; a seguire poi tutti i re, presidenti e capi di di Stati e di governo, ministri, sindaci, assessori, giudici, avvocati, ecc. ecc..
    Io non avrei problemi di sorta perché già so cosa significhi zappare la vigna; sarei poi sicuro di trovarci mio padre e mia madre, evitando però adesso di vergognarmi allorché fossi costretto a passare con lei davanti alla casa di chicchessia.

   

(07 agosto 2005)

RIMEMBANZI   HOME PAGE