EFFETTIVAMENTE E' COSI'

   Quando ho concepito di realizzare questo sito, avevo considerato che esso avrebbe comportato, non solo, in una certa misura, la rinuncia alla mia riservatezza, ma anche un rischio: quello derivante dall'esposizione della mia faccia e, soprattutto, dei miei pensieri, anche molto intimi, quali quelli espressi negli scritti poetici e narrativi.
   Inizialmente il contenuto precipuo del sito era costituito soprattutto da fotografie, con le quali, insieme all'albero genealogico, mi ponevo l'obiettivo primario di far inciampare, attirare qualche parente americano, discendente dei due fratelli di mio padre (Michele e Donato, il primogenito Francesco non ha lasciato invece figli) che egli non aveva mai  conosciuto in vita sua, e che oramai non potrà più conoscere, se non nell'aldilà, ove dovesse esistere.
   Tale obiettivo è stato raggiunto, perché ho avuto non pochi contatti - documentati anche in questo sito - con siffatti parenti, degli Stati Uniti d'America, discendenti di zio Michele, e dell'Argentina, discendenti dello zio Donato. Con alcuni di loro ho avuto scambi epistolari anche intensi, come con Lisa Carcuro, pronipote di Michele, dal Texas, e con Teresa Carcuro, nipote di Donato, dall'Argentina.
   E' stato bello, per esempio, ricevere da Lisa gli auguri per il 90° compleanno di papà
(in fondo a questa pagina voglio riportare la testimonianza del suo gentile pensiero, per rinnovare quel ricordo emozionante); curioso scoprire che, mentre io, all'indomani dell'inizio della guerra in Iraq, avevo dedicato al presidente Usa la poesia "L'uccisore Bush", il marito di  Lisa Mitchell, figlia di mio cugino Teodosio, gli faceva invece la guardia del corpo; partecipare alla gioia per la nascita dei nipoti di Teresa, al dolore per la morte di suo padre Vitucio, avvenuta il 24 novembre 2006.
     
   Ma, raggiunto lo scopo iniziale che mi ero prefisso, ho voluto rischiare un po' di più, aggiungendo alle foto qualche scritto, poesie - tratte dalla mia raccolta "Latrati", la cui pubblicazione in un libro sarà probabilmente postuma... questo è il destino dei grandi artisti, mi ha pronosticato scherzando un amico e collega -  e racconti, sotto il titolo questi di "Rimembanzi" - termine composito che vuole significare rimembranze di Banzi, accorciato e fuso in quell'unica parola - incoraggiato e lusingato in ciò dall'apprezzamento manifestatomi soprattutto da persone affatto sconosciute.
   Certo, a queste se ne sono aggiunte poi altre, niente affatto sconosciute, alcune delle quali hanno voluto anche utilizzare una mia pagina per irridere ed umiliare i suoi omologhi predecessori; ed altre ancora che si sono arrabbiate non poco, quando si sono accorte che la mia vena narrativa scorreva per rievocare "rimembanzi" scolastici che mettevano a nudo il contesto di un certo modo di fare dei maestri di un tempo. 
   Tuttavia, una cosa è certa: io scrivo solo per il gusto di scrivere, per il desiderio di non fare rimanere sepolte nell'oblio certe cose accadute nella mia esistenza, strane, curiose o che abbiano contribuito a farmi diventare quello che adesso sono, non per lodare o diffamare, per convenienza o gratuitamente, l'uno o l'altro.
   Per esempio, non l'ho ancora confessato, ma che io sarei diventato "scrivano", me lo aveva fatto capire già il mio maestro - non mi ricordo se in seconda o terza elementare - quando, leggendo una mia composizione avente come traccia l'arrivo della pioggia dopo mesi di siccità, gli piacque in modo particolare che egli mi premiò mandandomi a mangiare gratis un giorno alla refezione scolastica; e mi ricordo perfino cosa mangiai quel giorno: riso e fagioli preparati da Angelina Iacovera.
   Con ciò non tengo nascosto che, successivamente, in prima ragioneria la professoressa Jolanda Cosentino non faceva altro che rifilarmi dei tre e mezzo, al massimo quattro meno meno, nei temi, prescrivendomi, dopo avermi graziato comunque con la promozione, di esercitarmi a scrivere durante l'estate, ma il mio destino era ormai stato indicato dal maestro e, perciò, lo ringrazio. 
   Ma voglio ringraziare anche quella maestra che, fresca diplomata o diplomanda, si prestò nel settembre 1966 a farmi esercitare a scrivere, faticando - io, non lei - non poco per trattenermi a farle qualche volta la sorpresa di presentarle, al posto dello svolgimento del tema assegnatomi, uno sul quale mi sarei sentito molto ispirato: la bellezza esplosiva ed ammaliante degli allora suoi 20 anni, o forse ancora 19;
e, quando giunse il primo ottobre, la tristezza d'iniziare un nuovo anno scolastico, l'avvertii per la prima volta il doppio di quella solita.
   
   Dopo avermi fatto scoprire tanti parenti americani e persone sconosciute, questo sito mi ha offerto di recente un'altra gradita opportunità: di incontrare un compagno di scuola delle elementari, Michele Marotta, come detto nella pagina "Salvata dallo spam". 
   L'occasione è stata propiziata dal mio scritto "E' nata una stella!", che lo ha riguardato in quanto autore del sito omonimo www.marottabanzi.com e, come già detto altrove, ho molto apprezzato il tono, lo stile e l'equilibrio delle riflessioni e dei giudizi contenuti nelle sue parole, del resto in perfetta sintonia col ricordo che ho di lui a scuola, di un compagno educato, diligente, discreto, non appariscente, o bullo, come si definiscono oggi certi soggetti, che pure c'erano già allora, anche se si chiamavano diversamente.
   Mi ricordo che una volta il maestro aveva fatto appendere alle pareti un suo disegno, tanto era bello! Anche il maestro era bravo a disegnare. Una volta disegnò alla lavagna, con gessi colorati, un cane. Ci diceva che, se il disegno era riuscito, da qualunque punto dell'aula lo osservassimo, il cane ci doveva guardare sempre. 
   Sarà stato che quel cane era davvero speciale (forse perché il maestro si era ispirato al suo Argo), c'è di fatto che il suo disegno era riuscito, perché provai a cambiare posto nell'aula, ed esso mi seguiva sempre con lo sguardo. Provavo allora a distogliere il mio sguardo per qualche attimo, ma quando mi rigiravo verso di lui, notavo che era sempre intento a fissarmi. 
   Fatta diverse volte questa prova, per avere la certezza che fosse vero l'assunto del maestro, ad un certo punto però notai che il cane girò la testa verso di lui, rimanendo intento ad osservarlo. Dal modo come lo guardava si capiva che aspettava da lui il fatidico fischio per dare inizio alla caccia. 
   A tale scopo il cane seguiva il movimento della mano destra del maestro per vedere se la portasse alla bocca, per infilare due dita fra lingua e denti ed emettere il fischio consueto. 
   Ma la mano del maestro andava sempre più in alto della bocca, diretta ora verso il naso, ora verso le orecchie, lasciando il cane in trepidante attesa. L'animale era però intelligente e furbo, perché per non far notare  la sua ansia spasmodica, manifestata soprattutto dall'oscillazione della coda, l'allungava dietro la lavagna, tenendola al riparo dai nostri sguardi.
   Ad un certo punto della reciproca contemplazione tra noi alunni e cane, si udì un toc toc alla porta, che si socchiuse facendo apparire il bidello zio Rocco, che annunciò: "E' ora". Ci alzammo per uscire e, prima di varcare la porta, il cane dalla lavagna ci diede un'ultima occhiata, e noi a lui.
   Tuttavia, quando ritornammo in aula il giorno dopo, il cane sulla lavagna non c'era più. Io ne arguii il perché. Nel pomeriggio, infatti, udii un fischio attraversare da un capo all'altro la via Garibaldi; dopo un po' vidi passare il maestro cacciatore con anziché un cane, due: il secondo lo riconobbi, era quello disegnato sulla lavagna. Ma come aveva fatto ad uscire dall'aula, se era chiusa? Sicuramente sarà stato lo zio Rocco a metterlo in libertà. 
   Infatti, quando il bidello si accinse a sistemare l'aula, non solo vide anch'egli che il cane lo guardava, ma, giacché era solo e non c'era il brusio di voci della scolaresca, sentì anche lo sbattere della coda dietro la lavagna nonché un lieve  guaito. Poteva il bidello rimanere indifferente nel vedere il cane lasciato in castigo appiccicato sulla lavagna? Sicuramente no. Ed infatti zio Rocco si avvicinò ad Argo, gli diede una pacca sul sedere e gli disse: "Vai, esci anche tu da questo luogo di prigione". Il cane fuggì via come un fulmine, anche perché,  proprio in quel momento - zio Rocco non lo aveva sentito, ma egli sì - udì il fischio del maestro, che lo chiamava per andare a caccia.

   Debbo dirti però Michele che, a prescindere dalle ragioni addotte in precedenza, non sono davvero in grado di confermarti se e quando venire a Banzi, perché, lo confesso ed ammetto,  provo non poco disagio ad incontrare ormai diverse persone, che mi fanno neutralizzare, affievolire, se non svanire del tutto, quell'amore sentito fino a ieri verso la mia terra: effettivamente (questo avverbio lo dico non alla Lino Banfi) è così, come tu hai rilevato nella tua analisi, mi sento in uno stato di "isolamento", sensazione questa che mi ha fatto interpretare e commentare con tono inappropriato anche la nascita del tuo sito, che mi sembrava far parte della costellazione di Orione, anzi di Ursone, che si affanna ad andare a caccia di ogni sorta di link da inserire, salvo ignorare quello al sito più ricco di contenuto su Banzi: sarò immodesto, almeno fino ad oggi, il mio. 
   Benintesi, quanto precede lo avevo appurato non mi ricordo più quanti mesi fa, perché è dallo stesso tempo che non apro più i siti, né ufficiali, né para ufficiali o fiancheggiatori su Banzi, per la noia che mi suscitano siano le rare news (bissate a volte per infarcirlo di più), sia le facce narcise che implorano di essere contemplate. E poi mi è del tutto indifferente andare a vedere se sia stato inserito o meno il link al mio sito, che riesce a sopravvivere anche senza.
  Certo, debbo tenere represso il bisogno di respirare l'aria del mio paese, di riempirmi gli occhi della sua luce e del suo cielo, le orecchie dei suoi suoni, delle voci del vicinato, del chiasso dei passeri e delle rondini, di mangiare pane e fichi, di affacciarmi al balcone di casa a guardare da un lato e l'altro la via Garibaldi, il cosmo stellato di notte, di farmi accarezzare il volto dal vento amico, e centomila altre cose - non ultima andare al cimitero in raccoglimento davanti alle lapidi dei miei genitori - ma mi risparmio anche il disgusto di vedere apparire certe persone in piazza. A meno che non venga in incognito.
   Ma, anche in tal caso, un timore già mi prende: che sicuramente mi si farebbe avanti il maresciallo per chiedermi un documento d'identità. Ecco, immagino già la scena. Sono in piazza travestito, il maresciallo intercetta ed adocchia lo straniero; mi si avvicina, mi scruta con lo sguardo indagatore; io penso "ci risiamo"; mi aspetto che pronunci la fatidica frase: "un documento d'identità per favore". Invece, egli mi riconosce, mi sorride, allunga la mano e mi dice: "Ben arrivato a Banzi, dottore, come sta? Mi concede l'onore di offrirle un caffè?".
   E, per la prima volta, ebbi offerto un caffè a Banzi.
   Ma dopo ne prenderei subito un altro, con te Michele, e, se permetti, vorrei offrirtelo io.
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P.S. Se accadrà che ritorni ancora a Banzi, e che ci incontriamo, Michele, "in piazza Emanuele Gianturco (vedo che tu non ti fai ingannare dalla funzione di correzione automatica del computer e che l'intitolazione della piazza non è stata  ribattezzata"granturco") sulle scale della nostra antica scuola", col tuo assenso (sei tu il dirigente scolastico competente, oppure è Pepe?), mi piacerebbe recitare insieme a te ed altri ex compagni di scuola una parodia: il titolo è già coniato: "Ripetenti in prima elementare a sessant'anni" (1). 
   Ci terrei però, ovviamente, che partecipasse anche il nostro maestro, non solo come spettatore, bensì per recitare se stesso, questa volta secondo il mio copione e sotto la mia regia. Penso che ne verrebbe fuori una commedia davvero esilarante, che la piazza diventerebbe straboccante di spettatori (anche se gli "Amici di Ursone" ignorassero l'evento) e che ci divertiremmo tutti.
   L'idea, allora, è quella di prepararci (visto che per noi è saltata la festa dei 50 anni) per i 60 anni, nel 2011. Bisogna però - io assicuro che farò una cosa e l'altra - pregare a che il nostro maestro si conservi ancora bene (allora avrà solo 92 anni, può farcela) ed implorare il sindaco che sarà in carica affinché quell'anno inserisca ne "L'Estate Bantina" la festa dei sessantenni, invece dei cinquantenni, oppure l'una e l'altra, oltretutto la cosa gli può tornare utile per aumentare il consenso elettorale. 
   Anzi, dirò di più: a chi dei candidati a sindaco nel 2009 inserisce nel programma elettorale la festa dei miei 60 anni, prometto verrò apposta a Banzi per votarlo, compensando così la mancanza del voto di mio padre. Scommetto che qualcuno recepirà senz'altro questo suggerimento, correndo subito a registrare il copyright del suo programma elettorale per le elezioni del 2009, per potere avere la sicurezza di vincerle.

  
(1) Stasera, durante una passeggiata, ho già cominciato ad ideare il prologo, scrivendolo nella mente: se ritornerete tra qualche giorno a visitare questo sito, potrete già ritrovarvi scritto qualcosa.

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29 aprile 2007

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