HERR HERMANN WAGNER

    Fino ad oggi, se uno mi pronunciava il nome Hermann, a chi lo associavo? Sicuramente al cognome del poeta Hesse, di cui alcune poesie ho inserito in questo sito tra quelle "... mai lette a scuola". 
    
Fino ad oggi, se uno mi pronunciava il cognome Wagner, a chi lo associavo? Sicuramente al nome del musicista Richard, ed al suo Parsifal.
    Da oggi non è più così, perché quel nome e quel cognome li metto invece insieme per comporre Hermann Wagner, che è anch'egli un tedesco, ma né poeta, né musicista, bensì solo un lavoratore della cooperativa facchini, incontrato casualmente alla stazione di Verbania.
    A questa stazione vi ero sceso stamattina, per recarmi alla conservatoria dei registri immobiliari ad eseguire la trascrizione di un atto pubblico da me ricevuto come segretario comunale. Sceso dal treno, però l'autobus mi è passato sotto il naso, sicché ho dovuto attendere per mezz'ora quello successivo. 
    Nel frattempo mi era "maturata qualcosa" ed allora sono andato in quel posto dove deporla. Avevo una certa riluttanza, perché si sa com'è quel posto delle stazioni ferroviarie, dove ci si reca turandosi il naso quando proprio non se ne può fare a meno.
    Ma la sorpresa è stata sensazionale, quando ho notato lo stato di pulizia perfetto e l'assenza del ben che minimo cattivo odore, sembrandomi quasi di ritrovarmi in uno dei bagni di casa mia. Ho potuto così andare "alleggerito" ad adempiere alla mia missione.
    Ma al ritorno sono rimasto ancora vittima dell'autobus, nel senso che lo stesso è giunto con notevole ritardo alla stazione, facendomi perdere il treno regionale per Domodossola (puntuale questo). Ho dovuto aspettare allora l'intercity, il quale invece è stato annunciato con mezz'ora di ritardo. Così ho dovuto trascorre un'ora e mezza di attesa in stazione. 
    Ed allora che faccio? Vado a raccontare le mie disavventure di viaggio al capostazione, ovviamente, il quale accondiscende benevolmente ad ascoltarmi ed a solidarizzare anche, sottolineando come quella stazione, per come sia fatta e funzioni, non sia proprio degna di un capoluogo di provincia. Per fortuna che c'era il signor Hermann Wagner che la teneva almeno lustra e decorosa!
    Ed Herr (il signor) Hermann Wagner scopro subito chi sia: un concittadino del poeta e del musicista sopra citati, il quale, cartellino con foto appuntato sul petto, con portamento fiero, si muove alacremente nell'ambito della stazione, tenendo tutto terso e sotto controllo. Egli si ferma (solo qualche minuto e senza perdere d'occhio il via vai delle persone) a conversare con me. Sguardo deciso e sicuro, orgoglioso del cartellino che sembra indicarlo come facchino, mentre in realtà ha scelto di venire in Italia a lavorare come addetto alle pulizie, mi racconta qualche curioso episodio di cui è stato protagonista.
    Attento osservatore, si accorge un giorno che era stata asportata una pianta ornamentale da un vaso. Come un segugio, si mette sulla scia di foglie lasciate dal ladro, arguendo che egli doveva aver preso l'autobus. Allora riferisce prontamente tutto al capostazione, invitandolo ( l'invito avrà forse avuto il valore di un'intimazione) ad avvertire la polizia ed a farla intervenire per acciuffare il delinquente. La polizia viene avvertita, rincorre l'autobus, alla fermata vede scendere il soggetto con la pianta in mano, lo coglie pertanto in flagranza di reato, lo arresta.
    Mi domando: se addetto alla pulizia fosse stato un italiano, si sarebbe accorto del furto della pianta? Sicuramente no, anche perché la pianta l'avrebbe, molto probabilmente, fregata già prima lui del ladro.
    Un'altra volta si apposta nei paraggi delle toilette per scoprire chi andasse ad imbrattare: becca in flagranza due negri, senza paura ne afferra all'uscita uno per il petto, lo blocca, dice di far intervenire subito la polizia; i due  implorano pietà e fuggono via senza accostare mai più in stazione, né loro, né altri teppisti o drogati o barboni. La riprova di ciò sta nel fatto che io ho potuto sedermi comodamente a soddisfare i miei bisogni.
    Qualcuno finisce di bere una bottiglina d'acqua od una lattina? Svuota il pacchetto di sigaretta? Ha finito di leggere il giornale o di fumare? Guai se non depone il tutto nel cestino dei rifiuti: gli porta, altrimenti, paletta e scopa, invitandolo perentoriamente a farne uso per raccogliere i rifiuti da lui stesso abbandonati. Ed infatti, nelle sale d'attesa, sui marciapiedi, non vedi un mozzicone di sigaretta.
    Dopo avermi raccontato del suo lavoro, non ho potuto trattenermi dal dirgli che anche mio padre si era comportato bene quale "gastarbeiter" (ospite del lavoro) in Germania, come lui adesso in Italia: forse esagerando anche un po', se il suo chef spesso aveva dovuto riprenderlo, alquanto stizzito, per invitarlo al lavorare "langsam, langsam" (adagio, adagio, ed Hermann ne conosce il significato e si mette a ridere). Ad Herr Hermann Wagner, invece, nessuno si permetterebbe di riprenderlo, perché egli incute rispetto, ed anche perché in Italia non può essere considerato un ospite del lavoro, essendo qua a pieno titolo quale cittadino dell'Unione Europea.
    A ben considerare, forse, mi sento più straniero io in Italia, pur essendoci nato, che il signor Herman. Allora, per diminuire tale sensazione, mi sto rifugiando quasi in Svizzera. A fine settimana scorsa ho dormito una notte in tenda in montagna a duemila metri proprio a ridosso del confine elvetico, delimitato sulla cresta dei monti da omini in pietra: ho provato la sensazione di ritrovarmi in un paradiso, in quel verde, al cospetto di un laghetto alpino, tra marmotte, caprioli e camosci.
    Nei paraggi di una baita ho scoperto che qualcuno coltiva, come me a casa, dei fiori denominati "garofani del poeta". Poiché ho raccolto già in abbondanza i loro semi, ho pensato, ritornando ancora in montagna, di seminarne un po' in giro. 
    Pochi sanno che quei fiori hanno quel nome. Allora è verosimile che qualcuno, passandovi vicino e notandoli, possa chiedersi quale sia il loro nome. Se io dovessi trovarmi al momento lì, potrei dirgli che si chiamano "garofani del poeta", ed anche che li ho seminati io. 
    Sarei però imbarazzato a rispondere, se, equivocando, dovesse rivolgermi questa domanda: "Perché lei è un poeta?": che faccio, mi posso permettere di rispondere sì?
    Ma, ritornando ancora ad Herr Hermann Wagner, e spiacendomi quasi di dovermi congedare da lui anche adesso qua, gli voglio rivolgere ancora il mio saluto pieno di stima, ammirazione e gratitudine per essere venuto egli in Italia a dare lustro alla stazione di Verbania. 
    Tanti italiani ritengono che la nostra Patria abbia lustro più che altro dai giocatori della nazionale di calcio per la vincita della coppa del mondo. Io penso invece che il lustro all'Italia venga dato soprattutto da persone come Hermann Wagner. 
    Sarebbe bello se qualcuno additasse la sua opera meritoria, non solo a Claudio Zanotti, sindaco di Verbania, ma addirittura al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per un encomio solenne, anzi per l'attribuzione del titolo di "Cavaliere del lavoro".
    Questo però è pressoché impossibile che accada. Allora rendo io omaggio al signor Hermann Wagner in nome del popolo italiano, con la promessa, inoltre, che la prossima volta che avrò occasione di scendere alla stazione di Verbania, gli regalerò un sacchettino di semi dei miei garofani, ovverosia del poeta. Sono sicuro che lui saprà farli germogliare e fiorire, così potrò essere anch'io un po' fiero di aver dato il mio contributo a rendere bella la stazione di Verbania e sentirmi più amico di Herr Hermann Wagner.


...ed eccolo Herr Hermann Wagner, una persona vera, degna di ammirazione e rispetto
ripreso al volo (in flagranza di pulizia) la mattina del 9 ottobre 2006
per gentile concessione sua, nonché del capotreno


Nota: Ove qualcuno dovesse chiedersi "Tonino non racconta più niente di Banzi?", posso riferire che in questi giorni sono stato cercato da due persone originarie del mio paese natale, guarda caso aventi lo stesso nome e cognome, non ovviamente Hermann Wagner, bensì Maria Rigato. 
La prima era la figlia del mio compare Michele Rigato. Appena l'ho appreso,
le ho subito telefonato, soffermandomi poi a lungo a conversare con suo padre, che non ha perso occasione per rievocarmi diversi episodi della sua vita e comunicare che continua copiosa la sua attività di scrittore.
La seconda, invece, era la figlia del fratello del mio compare. Ma a lei non ho alcuna intenzione di telefonare e le rivolgo solo qua qualche parola.
Che in questo sito siano comparsi degli scritti riguardanti suoi parenti, ciò è dovuto solo al fatto che gli stessi sono stati protagonisti importanti nella mia vita, della quale sto qui raccontando alcuni ricordi significativi, il cui unico scopo è lasciare qualche traccia letteraria della storia, oltre che mia, del mio paese, raccontare alcune verità, non certamente quello di diffamare coloro che vi entrano a far parte dei miei racconti. 
Del resto, che il mio maestro, padre di Maria Rigato, incutesse paura, per far uso del metodo didattico delle botte, non posso testimoniarlo solo io - per averle prese ben due volte senza alcuna plausibile ragione - ma chiunque sia stato suo alunno; che abbia un cugino falso oculista, non è una mia invenzione, neppure che egli ha causato la perdita di un occhio a mia madre; e non voglio ripetere e/o aggiungere altro.
Cosa vuole adesso Maria Rigato? Forse dimostrare di non essere molto diversa da suo padre, di avere avuto solo una piccola evoluzione, nel senso che mentre lui faceva uso delle "m(a)nacce", lei invece vorrebbe far uso delle "m(i)nacce" ... di querele? Col risultato che, invece, di essere perseguitato il maestro per l'abuso didattico fatto a suo tempo, per la violenza fisica perpetrata sugli scolari, vuole addirittura perseguitare adesso quegli scolari che l'hanno subita e che si limitano solo a raccontarla a distanza di mezzo secolo, a farne una poesia, sia pure col condimento d'un po' d'ironia.
Comunque, giuro, che di qui in avanti non parlerò più di maestri, anzi non vorrò parlare più neppure di sindaci e di nessun altro banzese: ascolterò il consiglio che Virgilio dette a Dante:" Non ti curar di lor ma guarda e passa".
Ma, se ciò non bastasse ancora a placare l'ira funesta della figlia del maestro,

imploro a chi per prima domani
dovesse incontrare Don Peppino
di prostrarsi a baciargli le mani
a battersi il petto a nome di Tonino.

(20-23 luglio 2006)

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