I FAGIOLI DELL'8O° COMPLEANNO DI MIA SUOCERA

     

Il 17 febbraio 2006 festeggiammo l'80° compleanno di mia suocera, Grazia Catale, nota ai più come Graziuccia, moglie del mugnaio Antonio Giacomino (saremmo poi arrivati a festeggiare anche il 90°).

 Lo ricordo volentieri quell'evento, perché avevo ripreso da qualche giorno a svolgere le mie funzioni di segretario comunale, dopo un periodo di purgatorio in disponibilità.

Il festeggiamento avvenne a casa mia a Tradate e, per l'occasione, mia moglie Teresa preparò una sontuosa torta, degna sia dell'importanza del traguardo raggiunto da sua mamma, sia della numerosa combriccola familiare che vi fece adunata.

Per far sì che la torta riuscisse perfetta, un'amica pasticciera le suggerì di mettere uno strato di fagioli sulla carta da forno che ricopriva la teglia. Ed il suggerimento si rivelò efficace, perché la torta fece una gran bella figura innanzi ai convitati, che gustarono tutti la loro fetta fino all'ultima briciola, leccandosi infine anche le dita (ovviamente in senso figurato perché, altrimenti, scommetto che qualche critico lettore esclamerebbe: cha razza di astanti erano costoro, se ignoravano l'abc del galateo!).

Ovviamente i fagioli utilizzati per ricoprire la teglia non finirono nella pancia degli invitati, ma neppure buttati nella spazzatura: mia moglie pensava che sarebbero potuti tornare ancora utili successivamente per altre torte.

 

Quei fagioli, trasferitisi con noi nella nuova casa acquistata un lustro dopo a trenta chilometri da Tradate, sono ritornati a galla la primavera scorsa, riesumati perché mia moglie temeva fossero la causa dell'apparire di qualche tonchio in dispensa.

Allora me li dà da buttare e, giacché io riciclo tutto l'organico nell'orto, li sparpaglio a bordo della recinzione, per farli marcire e trasformare in humus.

Cosa succede invece?

Che mentre, ad esempio, i semi di piselli comprati apposta per farli germinare, la maggior parte di essi non dà segni di vita, i fagioli posti nel forno la dozzina di anni prima, per coprire la torta dell'80° compleanno di mia suocera, germinano tutti al cento per cento, come se lei avesse fatto un miracolo, per far sì che non cadesse nell'oblio quel giorno particolare.

Ovviamente io non penso che si tratti davvero di un miracolo, e non sto raccontando l'accaduto per accreditare mia suocera a farla diventare santa.

Ma mi piace guardare ed ammirare quelle piante di fagioli, trapiantati poi da me in un lungo filare, che stanno crescendo rigogliosi, ricordando ogni volta che essi hanno collaborato egregiamente alla buona riuscita della torta con la quale celebrammo quel lieto evento della mamma di Teresa.

Scommetto poi che avranno anche un gusto particolare quando li mangeremo.

Solo, per rispetto nei confronti di mia suocera, possibile autrice dello straordinario accadimento, eviterò di fare le belle scoreggione che inevitabilmente mi stimoleranno.

Graziuccia avrà però l'accondiscendenza di concedermene almeno una.

Un po' di quei fagioli li voglio portare il prossimo mese di agosto a Cervia, dove rogiterò l'acquisto di un attico vista mare/colline/universo.

Dopo essermi fatto una bella scorpacciata, verso il tramonto mi piacerà sicuramente salire sul terrazzo mio personale soprastante l'attico e, prima che il sole scompaia all'orizzonte, come un pezzo di fuoco d'artificio, tuonerò una fragorosa scoreggiona, in onore dei tanti illustri  sindaci che ho conosciuto, dei preclari maestri, degli illustri direttori didattici e presidi... fino a certi amatissimi parenti di quinto grado.

La brezza del mare si incaricherà poi di raccoglierne la purezza dell'olezzo, giacché frutto, se non di un miracolo, almeno di un prodigio, recapitandolo alle narici dei sopra detti destinatari, ai quali non potrà non affiorare almeno il dubbio che frustrati per davvero debbano sentirsi loro, non foss'altro che, invece di godere della soddisfazione di vedemi recluso dietro le sbarre in prigione, mi immagineranno in quella sorta di paradiso terrestre dove, guardando intorno, ammirando le albe ed i tramonti, potrò illuminarmi d'immenso.

 

L'epilogo del racconto mi offre lo spunto per aggiungere un aneddoto accadutomi domenica 29 maggio 1966, arricchendo così lo svolgimento del tema della scoreggia.

Quel giorno era la festa della madonna a Genzano di Lucania (all'epoca essa si celebrava in concomitanza con la ricorrenza della Pentecoste, ovverosia sette domeniche dopo Pasqua). I miei nonni materni genzanesi erano venuti a mancare entrambi qualche mese prima, tuttavia, essendosi una mia sorella appena fidanzata con uno di Genzano, ebbi modo di consumare lo stesso a casa sua il lauto pranzo della celebre ricorrenza.

Al pomeriggio ritornammo a fare un giro a Banzi e, camminando in piazza, il futuro mio cognato mi invitò a prendere da bere al bar Nino.

Mentre, in piedi davanti al bancone, sorseggiavamo una gazzosa, qualche altro avventore presente deve aver mollato una loffa, il cui gas maleodorante è arrivato a lambire non solo le nostre narici, bensì anche quelle di una ragazza appena entrata, che mi butta un'occhiataccia di disprezzo, ritenendo evidentemente ed inequivocabilmente essere stato io il malfattore di quella puzza.

Pur avendo capito il significato di quell'espressione, rimasi tuttavia interdetto: che potevo fare, discolparmi nei suoi confronti, invitandola ad andare ad annusare il sedere di tutti gli astanti per scoprire la fonte di provenienza del cattivo odore?

La cosa peraltro ebbe un ulteriore strascico durante la processione della successiva festa di San Vito. La processione si era appena avviata e notai che la suddetta si era posizionata nella fila poco dietro di me. Vuoi vedere, pensai, che questa adesso, racconta il deplorevole fatto accaduto (di cui mi riteneva colpevole) alle amiche vicine?

Per appurarlo, mi girai di scatto, cogliendola in flagranza che mi stava additando e deridendo con disprezzo. Cosa potevo ancora fare, discutere della questione durante la processione? Mandai ancora giù.

Ma si dà il caso che a ritenermi colpevole di un fatto non commesso non è stata solo questa ragazza (avente il pregio di assomigliare nel naso perfettamente a suo padre), bensì anche sua madre.

Avevo una diecina d'anni e stavo ritornando dalla piazza a casa dopo aver adempiuto ad una commissione.

Prima di imboccare via Garibaldi, vedo dei ragazzi che, arrampicandosi l'uno sull'altro, suonano il campanello di una "casa blasonata" e scappano lesti via.

Proseguo e, superata di poco tale abitazione, cosa succede? Che la nobildonna di quella "casa blasonata", quatta quatta, mi rincorre da dietro alle spalle e, una volta raggiuntomi, si avventa su di me, menandomi dei pesanti scapaccioni: evidentemente, come sua figlia, riteneva erroneamente me l'autore della suonata di disturbo fatta al campanello di casa sua.

Ritorno scioccato e traumatizzato a casa, spaventando anche mia madre, perché i singhiozzi mi impedivano di raccontare l'accaduto. E quando lei lo capì, poté solo macerarsi dentro dalla rabbia, furiosa quanto impotente, che la colse, non potendo, come avrebbe fatto d'impeto, andare a strappare i "cirr e vrangisciare" quella donna, perché si trattava di una "nobildonna"!

Sono certo però che, senza più alcun timore reverenziale, se l'avrà incontrata nell'aldilà, le avrà cavato anche gli occhi e strappate le orecchie. Dubito, tuttavia, che l'abbia incontrata, perché un soggetto come quella sarà finita in chissà quale girone dell'inferno!

E' incredibile, ma nella mia vita mentre non ho mai preso uno schiaffo dai mie genitori, le uniche persone che me le hanno suonate sono state invece quella nobildonna e suo marito, che insieme alle figlie si ritengono comporre una delle famiglie più in vista di Banzi.

E' vero, qui ne ho addotto una eloquente testimonianza, meritandovi perciò di essere incensati col purissimo effluvio prodotto, tramite me, dai miracolosi fagioli dell'80° compleanno di mia suocera.

 

Ma, alla luce delle odierne notizie di cronaca riguardanti la Basilicata, per quanto oramai a me terra estranea, è d’uopo aggiunga un’ulteriore appendice a questo racconto, per dire che intendo pregare la brezza di far giungere il purissimo olezzo di cui sopra anche a Marcello Pittella, a che possa provare una sensazione di sollievo dall’ambascia procuratagli dal terremoto giudiziario che gli si è abbattuto addosso.

Ho letto qualcosa su internet per capire chi sia sto Marcello Pittella, scoprendo che è fratello di Gianni e figlio di Don Mimì, tutti di Lauria.

Ho avuto due sorelle compagne di scuola all’istituto tecnico commerciale di Palazzo San Gervasio, che venivano da Lauria: chiedo la cortesia a Marcello, quando, finiti gli arresti domiciliari, potrà uscire di casa, di salutarmele, se per caso dovesse incontrle per strada.

Comunque ogni paese ha la propria dinastia che si accaparra ogni posto disponibile, sia pure in ambiti e livelli diversi: a Banzi ne conosco una di valvassini che fa incetta di posticini.

 Spero che il presidente della Regione Basilicata ne esca bene da questa vicenda e che non gli venga invece un accidenti, perché altrimenti immagino già qualcuno pronto a fargli una bella commemorazione in cui poter leggere se anche costui, come Mitidieri, contasse le pecore fino a mille, ma non solo, a decine di migliaia anche i pecoroni della Lucania, una terra retriva che continua a rimanere affondata in un perenne medioevo e dalla quale, per fortuna, mi sono definitivamente affrancato, finalmente anche dalle estorsioni tributarie.

Il racconto dei miracolosi fagioli dell’80° compleanno di mia suocera mi ha indotto incidentalmente a fare su di essa qualche flash, ma giuro che ciò non accadrà più, godendomi serenamante il mare, il cielo e le colline della Romagna, per riposare, quando sarà, vicino a Marco Pantani a Cesenatico, nella provincia di Ravenna ex  capitale d'impero, che ospita la tomba di Dante.

Giacché è attinente al tema di questa pagina, per chiuderla in bellezza, mi piace solo ricordare che mio padre, prima di iniziare la cena, sovente sollevava una chiappa dalla sedia ed emetteva una bella scoreggia, dicendo “alla faccia dei preti”: egli era prudente, sapeva che i preti costituivano una categoria di "don" non arcigna, bensì, alla fin fine, mite, buona, innocua, per quanto ti facessero delle prediche se andavi a messa e ti paventavano il castigo dell'inferno se, invece, non ci andavi alla domenica ed a tutte le altre feste comandate... i preti si tenevano le scoregge senza adirarsi e far male a nessuno.

 

 

01-06  luglio 2018

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