L'"AMARO" LUCANO
... cosa vuoi di più dalla vita? Verità e giustizia sulla morte di Luca Orioli e Mariarosa Andreotta di Policoro

   Questa mattina, intanto che facevo footing in pineta nel parco vicino casa, praticamente ho già scritto mentalmente il primo pezzo della parodia che ho annunciato in qualche pagina precedente, dal titolo "Ripetenti in prima elementare a sessant'anni". 
   Mi piaceva molto, sì che, a certi passaggi, mi veniva da ridere, anzi ridevo proprio, rumorosamente, stando attento però ad evitare di farlo se incontravo altre persone, le quali, non sapendo che io stavo rileggendo mentalmente ciò che avevo scritto poco prima - sempre mentalmente - mi avrebbero preso sicuramente per matto.
   Quando, però, mi sono accinto a scrivere qua al computer, ciò che avevo abbozzato durante la corsa in pineta, avendo visto la posta elettronica, ho capito che dovevo dare la precedenza ad un appello rivoltomi da "un amico sconosciuto", Antonio Nicastro, che mi ha chiesto di sottoscrivere un manifesto per esprimere sostegno e solidarietà a coloro che sono impegnati a fare luce, finalmente, sulla misteriosa morte dei fidanzati di Policoro, Luca Orioli e Mariarosa Andreotta.
   Leggo, infatti, testualmente, il seguente messaggio del Cestrim di Don Marcello Cozzi, allegato all'e-mail:

"Carissimi,
la paradossale aggressione subita dal capitano dei Carabinieri di Policoro, Pasquale Zacheo, e da alcuni giornalisti, tra cui Carlo Vulpio, del Corriere della Sera, Gianloreto Carbone di Chi l'ha visto? e Nicola Picenna di Il Resto, accusati dalla Procura di Matera su esposto denuncia di Nicola Buccico di "associazione a delinquere per diffamazione a mezzo stampa", evidenzia ancora più il quadro fosco nel quale ci muoviamo in Basilicata. Una Procura indaga e  perquisisce gli uffici di uno stretto collaboratore di quel magistrato di Catanzaro che, indagando a sua volta su questa stessa procura, sta mettendo in luce un vero e pericoloso comitato d'affari lucano.
Dopo le splendide assemblee di Aprile, Maggio e Giugno, a Potenza e Policoro, nel corso delle quali abbiamo toccato con mano la straordinaria vitalità di tutta quella parte buona della Basilicata che non intende alzare le mani dinanzi  quel potere mafioso e massonico, e dopo le numerose adesioni di sostegno registrate al PM De Magistris, siamo di nuovo tutti chiamati a far fronte comune dinanzi a questi avvenimenti tanto paradossali quanto inquietanti.
Non abbiamo il tempo di incontrarci nell'immediato, pertanto vi proponiamo di sottoscrivere con i vostri nomi e cognomi il manifesto che trovate in allegato e che con tutte le adesioni raccolte verrà affisso la settimana prossima sui muri dei centri più grandi della Basilicata.
E' a rischio la tenuta della legalità in Basilicata.
La libertà in questa terra ora dipende soltanto da noi.

P.S.: Vi preghiamo non solo di firmare ma anche di far firmare ad altri e di spedirci risposta entro e non oltre le ore 13.00 di Lunedì 30 Luglio p.v."

   Cristo, mi viene da esclamare sconcertato, ma non ti sei spostato di un millimetro da Eboli!

   La vicenda, per quanto i miei legami con la Basilicata siano diventati assai flebili, non mi lascia indifferente, anzi, mi turba profondamente ed indigna, anche perché mi è rimasto inciso nell'anima lo straziante appello che ho sentito fare in televisione dalla signora Olimpia, mamma del fidanzato Luca Orioli, a che venga appurata finalmente la verità sulla causa della sua morte, verosimilmente di natura delittuosa.
   Ed allora non posso non far sentire anche la mia voce al riguardo, come accadde per le scorie radioattive di Scanzano Ionico e per l'elettrodotto di Rapolla, sottoscrivendo il manifesto, ma anche aggiungendo qualcosa in più su tale tristissima e buia storia, nonché sulla situazione "amara"della Lucania.
   Ecco, quindi, di seguito, un'interrogazione parlamentare tratta dal sito http://www.montescaglioso.net.

Seduta n. 771 del 27/7/2000

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA

SICA. - Al Ministro di grazia e giustizia.

- Per sapere - premesso che:
due giovani di Policoro (Matera), Luca Orioli e Mariarosa Andreotta, furono trovati morti, in data 23 marzo 1988, immersi nella vasca del bagno della villetta di proprietà della madre della ragazza;
la sola visita necroscopica, non confermata da alcuna autopsia, attribuì il decesso ad «una scossa accidentale di energia elettrica»;
detta perizia, eseguita da tale ingegnere Valecce, è stata messa in discussione da quella elaborata, successivamente, da tale professor Strada, che, in data 4 marzo 1995, quale consulente tecnico d'ufficio, ha stabilito che la morte dei due giovani era da attribuire ad «avvelenamento da ossido di carbonio»;
l'altalena della ricerca della causa della morte, accidentale o violenta, proseguiva con un vergognoso «balletto» tanto che un'altra consulenza tecnica d'ufficio, depositata il 16 giugno 1997 dal professor Lattarulo, tornava a ribadire, quale motivazione, la «scossa accidentale di energia elettrica»;
la signora Antonia Giannotti, madre della ragazza, ha impugnato l'ultima consulenza che basa le conclusioni sul fatto che «le tubazioni di scarico della vasca da bagno, in metallo», possano aver trasmesso la scossa di energia elettrica all'interno della vasca stessa, in quel momento colma d'acqua e con i corpi dei giovani immersi;
a motivo del suo ricorso, attualmente all'esame dell'autorità giudiziaria, la signora Giannotti ha sostenuto che, invece, le tubazioni di scarico della vasca da bagno sono in pvc (polivinilcloruro), materiale plastico isolante e, quindi, non conduttore di energia elettrica;
un altro episodio, inquietante e misterioso, è quello relativo alla «sparizione» dei negativi relativi le fotografie scattate dal fotografo, signor Orlando, il quale, a fronte di quelle ufficiali fissate in n. 36, dichiara di averne scattate e sviluppate solo n. 24;
si precisa che, inoltre, a undici anni dalla morte dei giovani, nulla è stato provato ma, al contrario, si sono ingenerati dubbi e perplessità sulla capacità investigativa degli inquirenti e sulla conduzione giudiziale dell'intera vicenda atteso che, a tutt'oggi si attende ancora che sia fatta piena luce su quel tragico evento, ed i congiunti sperano ancora che la verità arrivi quanto prima ad alleviare almeno in parte la sofferenza sempre acuta per la scomparsa dei giovani cari -:
quale sia lo stato delle indagini e dei procedimenti in corso relativamente ad una triste vicenda caratterizzata da tutta una serie di colpi di scena, tra perizie e controperizie.
(4-25038)

RISPOSTA  DEL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA PIERO FASSINO

Con riferimento all'interrogazione in esame può riferirsi quanto segue sulla base delle notizie acquisite dalle competenti articolazioni ministeriali, nonché dagli uffici giudiziari interessati alla vicenda evocata nell'atto di sindacato ispettivo.
È opportuno premettere che i corpi senza vita di Luca Orioli e Mariarosa Andreotta furono rinvenuti nel bagno dell'abitazione di quest'ultima il 23.3.1988 e la causa della loro morte, ad oggi, non è stata ancora acclarata dall'Autorità Giudiziaria competente. La complessa vicenda ha risentito in modo determinante dell'insufficienza degli accertamenti espletati nel corso dell'esame esterno dei cadaveri, che fu compiuto da un sanitario, la dott.ssa Salinardi, officiata dall'allora vice pretore onorario di Pisticci dottor Ferdinanzo Izzo, che attribuì la causa della morte a folgorazione. Solo nel 1996, allorchè la dottoressa Salinardi rese dichiarazioni ai Carabinieri di Policoro, ammettendo di essersi limitata a scoprire il volto dei due giovani, è stato incardinato procedimento penale nei confronti del sanitario e del dottor Izzo, che attualmente non fa più parte dell'Ordine Giudiziario. Essendo state, peraltro, prospettate perplessità circa l'individuazione della causa di morte, il G.I. del Tribunale di Matera aveva incaricato, in data 21 luglio 1989, il perito Sante Velecce di espletare accertamenti elettrotecnici che venivano depositati il 17 novembre 1989 ed individuavano la causa del decesso in un incidente di elettrocuzione in bassa tensione. In data 7 ottobre 1994 l'ing. Velecce veniva denunziato per il reato di cui all'articolo 373 del codice penale, in relazione alla ritenuta infedele esecuzione dell'incarico, ma il relativo procedimento veniva archiviato per intervenuta prescrizione.
Con particolare riferimento alla censure mosse all'opera dei magistrati che si sono occupati del procedimento penale relativo alla morte dei due giovani, va rilevato che l'Autorità Giudiziaria di Salerno non ha ravvisato alcuna manchevolezza nell'operato dei magistrati del Tribunale di Matera, successivamente incaricati di svolgere le funzioni di G.I.P. nel procedimento sopra indicato. Alle stesse conclusioni sono pervenute le articolazioni ministeriali interessate alla vicenda. E, invero, le doglianze mosse dalle persone offese attengono integralmente al merito di provvedimenti giurisdizionali incensurabili in sede amministrativa non ravvisandosi nella specie le ipotesi estreme dell'abnormità, della manifesta illegittimità ovvero dell'uso strumentale delle funzioni, in presenza delle quali soltanto ne è consentita la valutazione sotto il profilo disciplinare. Quanto alla posizione del dott. Vincenzo Autera, sostituto procuratore della Repubblica incaricato del procedimento relativo alla morte dei due giovani, le doglianze che lo riguardano, in particolare, sono quelle di non aver disposto l'autopsia dei due cadaveri e di non aver proceduto immediatamente alla contestazione del reato all'ingegner Velecce, con conseguente determinarsi della prescrizione.

Su tale quesito specifico, peraltro già valutato in sede penale nell'ambito di un procedimento instaurato presso l'Autorità Giudiziaria di Salerno e definito, su conforme richiesta del P.M., con decreto di archiviazione dell'1 aprile 1998, si osserva che, risalendo la denuncia dell'ing. Velecce ad opera della P.G. al 7 ottobre 1994 (laddove il termine prescrizionale maturava il successivo 27 novembre) non può certo ravvisarsi un carattere di negligenza nel ritardo con il quale il dott. Autera ebbe ad adottare le proprie determinazioni, considerata comunque l'eccessiva brevità del termine a disposizione per evitare l'estinzione dell'ipotizzato reato. Quanto poi al fatto di non aver disposto l'autopsia, si osserva che l'errore iniziale ascrivibile al sanitario ed al vice pretore onorario ha definitivamente compromesso l'evolversi delle attività d'indagine poste in essere in seguito per accertare le reali cause della morte dei due giovani. E proprio per tale ragione l'operato dei magistrati che si sono occupati a vario titolo della vicenda, si sottrae ad ogni tipo di censura, attesa l'impossibilità di porre rimedio alle insufficienze e all'incompletezza con cui è stata condotta da altri soggetti la prima delicata fase degli accertamenti.
Con specifico riguardo al procedimento relativo alla morte dei due giovani si rileva altresì che la Procura di Matera, nella richiesta di archiviazione di esso, ed il G.I.P., nel decreto del 20 aprile 1998 che ha accolto tale richiesta, hanno evidenziato che le risultanze processuali acquisite non sono idonee a sostenere fondatamente un'accusa in giudizio sia nei confronti della persona che è stata sottoposta ad indagini, sia nei confronti di altri soggetti; più in generale, in tali atti, viene rilevata l'assenza di una sicura riconducibilità della morte dei ragazzi a causa delittuosa, a fronte della mancanza di elementi in tal senso, seppure indiziari, caratterizzati dalla gravità, univocità e concordanza. Avverso il menzionato provvedimento di archiviazione pronunciato in data 20 aprile 1998, le persone offese Giuseppe Orioli e Olimpia Fuina hanno proposto ricorso in cassazione, peraltro dichiarato inammissibile, con ordinanza del 27 gennaio 1999. Allo stato la vicenda processuale relativa alla morte di Luca Orioli e Mariarosa Andreotta deve ritenersi conclusa.
Si segnala che la Procura della Repubblica ha a suo tempo formulato richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Ferdinando Izzo, Rosa Salinardi e Antonio Maiorana per l'ipotizzato reato di cui agli articoli 476 e 479 del codice penale, attribuito nelle rispettive qualità di vice pretore, di medico incaricato di procedere alla visita ispettiva sui cadaveri e di ufficiale di P.G., in quanto il primo e il terzo avevano attestato falsamente di aver partecipato alle operazioni ispettive, consistenti nell'esame esterno dei corpi, mentre l'Izzo e la Salinardi avevano attestato che la morte dei due giovani doveva considerarsi derivata da «arresto cardiocircolatorio provocato da folgorazione», malgrado l'assenza di segni univocamente riconducibili a tale causa e la superficialità della visita necroscopica effettuata, tale da non garantire l'attendibilità dei risultati conseguiti all'esito dell'accertamento.
Il procedimento penale in questione si è tuttavia concluso il 19 novembre 1999 con sentenza del G.U.P. di Matera che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati «perché il fatto non sussiste».


Ma ritengo interessante, e lo addito alla lettura dei miei visitatori, anche il seguente articolo di Marco Travaglio, noto giornalista e scrittore, tratto dal sito http://liberabasilicata.wordpress.com, nel quale viene posto in evidenza l'invito: "facciamo la scorta ai nostri giudici".

AMARO LUCANO - Marco Travaglio

Di magistrati con tanti nemici ne abbiamo visti molti, in questi anni. Ma con tanti nemici e così pochi amici c’è solo Henry John Woodcock, il pubblico ministero di Potenza che nelle sue indagini ha avuto la sventura di incappare in molti potenti. Da quando, il 16 giugno, ha fatto arrestare Vittorio Emanuele di Savoia, il portavoce di Gianfranco Fini, Salvo Sottile, e i loro presunti complici, sul capo del giovane magistrato anglo-napoletano sono piovuti attacchi di ogni tipo e provenienza (politici ed editorialisti di ogni orientamento, alte e basse cariche dello Stato, istituzioni repubblicane e monarchiche, e financo qualche magistrato) che hanno investito anche il gip Alberto Iannuzzi, «colpevole» di aver accolto le richieste del pm.
Una breve galleria dei nemici di Woodcock aiuterà a capire meglio quel che accade a Potenza, ma soprattutto nella «nuova» Italia del centro-sinistra.
La Lucania è un osservatorio privilegiato: una finta «isola felice» che in realtà, grazie alla sua perifericità geografica, lontano dai grandi circuiti mediatici, è sempre più infestata dalla ‘ndrangheta, dalla corruzione, dagli impasti massonici, dagli scandali politico-amministrativi talmente trasversali che, alla fine, una mano lava l’altra.
L’unico baluardo di legalità è la magistratura: anzi un pugno di pochissimi magistrati, assediati nei loro stessi uffici e invisi ai loro stessi superiori. Oltreché, si capisce, ai loro indagati.
Tralasciamo volutamente gli attacchi dei «vip» finiti sotto inchiesta e i loro amici protettori. E concentriamoci su quanti avrebbero il dovere di difendere chi compie il proprio dovere e di consentirgli di continuare a svolgerlo serenamente, e invece si adoperano trasversalmente per rendergli la vita impossibile.

Vincenzo Tufano, procuratore generale. Personaggio d’altri tempi (non proprio dei migliori), quando inaugura l’anno giudiziario, appare più preoccupato per le indagini della procura che per il malaffare dilagante sul territorio. Da due anni si scaglia regolarmente contro i magistrati che intercettano e arrestano troppo, e dunque spendono troppo. Quanto alla presenza della ‘ndrangheta nella regione, niente paura: trattasi di piccole «bande locali nella quali si raccoglie gran parte del crimine ordinario operante su porzioni limitate del territorio, solo germinazioni di sodalizi più o meno collegati ai gruppi storici». Parole che non piacciono neppure al procuratore capo Giuseppe Galante, tutt’altro che un cuor di leone, ma che ha almeno il merito di lasciare lavorare i sostituti che ne han voglia. Nell’aprile 2006 l’avvocato Pier Vito Bardi, imputato di favoreggiamento mafioso, denuncia civilmente il gip Iannuzzi che l’ha arrestato, poi lo ricusa sostenendo che, essendo stato denunciato, non ha più la necessaria serenità per giudicarlo. Tesi piuttosto singolare che – se accolta – consentirebbe a qualunque imputato di sbarazzarsi dei suoi giudici denunciando anche fatti inventati. Ma il sostituto pg Gaetano Bonomi, fedelissimo di Tufano, dà parere favorevole e chiede alla Corte d’Appello di rimuovere il gip scomodo. La Corte respinge la richiesta in quanto inammissibile. La scena si ripete quando esplode lo scandalo Savoia: il sindaco di Campione d’Italia Roberto Salmoiraghi, dal carcere, chiede la ricusazione del gip Iannuzzi per le sue dichiarazioni alla stampa in cui difendeva la solidità delle accuse oggetto dell’indagine. La procura generale esprime di nuovo parere favorevole e di nuovo la Corte respinge l’istanza, «palesemente inammissibile» e «manifestamente infondata». Non contento del doppio smacco, mentre Iannuzzi e Woodcock vengono accusati di ogni nequizia, l’infaticabile Tufano si unisce all’assalto segnalando al ministero e al Csm presunte irregolarità commesse da Woodcock. Galante fa lo stesso. La gravissima colpa del pm è quella di non aver fatto firmare al procuratore capo, cioè allo stesso Galante, le richieste di cattura, violando così l’obbligo previsto dalla controriforma dell’ordinamento giudiziario Castelli: peccato che le richieste di Woodcock siano del 29 maggio e che il gip le abbia accolte il 16 giugno, mentre la legge Castelli è entrata in vigore solo il 19 giugno. È una tempesta in un bicchier d’acqua. Ma tanto basta a Mastella per sguinzagliare gli ispettori a Potenza, per indagare sul nulla. Ben altre sarebbero le situazioni ambientali da esaminare negli uffici giudiziari lucani. Eccone due, a titolo di esempio.

Felicia Genovese e Gaetano Bonomi, sostituti. La Genovese, pm a Potenza, segue un’indagine sull’Asl di Venosa che coinvolge la giunta regionale ulivista presieduta nel 200-2005 da Filippo Bubbico, Ds, oggi senatore e sottosegretario alla sviluppo economico. Nel 2000 la giunta Bubbico licenzia il direttore generale della Asl 1, Giuseppe Panio, per sostituirlo con Giancarlo Vainieri, vicino a Bubbico e ai Ds. Panio ricorre al Tribunale del lavoro di Melfi, ottiene l’annullamento della delibera che l’ha destituito e il reintegro, ma la giunta Bubbico tira dritto per la sua strada: anche l’assessore alla Sanità Vito De Filippo (Margherita), sulle prime perplesso, cambia idea e scarica Panio. Nel 2005 De Filippo subentra a Bubbico come presidente della giunta. Bubbico, De Filippo e altri assessori e dirigenti finiscono sotto inchiesta per abuso d’ufficio, ma alla fine il pm Felicia Genovese chiede per ben due volte l’archiviazione per tutti. Il gip Iannuzzi però non è d’accordo, per lui gli elementi per procedere esistono eccome: rifiuta per due volte di archiviare e il 25 maggio 2006 ordina alla procura di formulare l’imputazione coatta. Poi trasmette il fascicolo alla procura di Catanzaro, competente sui magistrati di Potenza. Perché? Perché Panio, opponendosi alla richiesta di archiviazione della pm Genovese, ha maliziosamente sostenuto che la signora era tutt’altro che disinteressata alle vicende della sanità pubblica lucana: poco dopo aver chiesto l’archiviazione per Bubbico & C., infatti il di lei marito, Michele Cannizzaro è stato promosso dalla neonata giunta De Filippo a direttore generale della prima azienda sanitaria della regione: l’ospedale San Carlo di Potenza. In estrema sintesi il marito della pm fu promosso dagli indagati della pm per i quali la pm aveva appena chiesto l’archiviazione. Tutto in famiglia, nel silenzio assordante sia del centro-sinistra sia della cosiddetta opposizione di centro-destra. Ce n’è abbastanza, secondo il gip, per investirne la procura di Catanzaro, «per le valutazioni di sua competenza in ordine ai rilievi formulati dall’opponente sul conto del pm. […] pesanti illazioni le quali assumono indubbia rilevanza penale».
L’incredibile vicenda ha un post scriptum. Il 6 giugno la procura formula l’imputazione coatta contro l’ex giunta di Bubbico, nel frattempo promosso sottosegretario del governo Prodi. Due giorni dopo il sostituto pg Gaetano Bonomi viene ripreso dal Tg3 regionale in prima fila all’assemblea per l’elezione del nuovo segretario regionale dei Ds, mentre scherza e chiacchiera amabilmente con il neoimputato Bubbico. Ma i due magistrati non suscitano soverchie attenzioni nel ministro Mastella e nei suoi attivissimi ispettori, né tantomeno nel pg Tufano, che hanno occhi solo per Woodcock e Iannuzzi. Di Tufano, finora, si sono occupati solo i cinque consiglieri del Csm di Magistratura democratica (Menditto, Marini, Civinini, Salmè e Salvi), che hanno chiesto di aprire due pratiche sul caso Potenza: una «a tutela» di Woodcock, l’altra pr trasferire Tufano. Il quale – scrivono – «avrebbe inviato numerose note al ministro della Giustizia per verificare l’operato dello stesso pm e del procuratore della Repubblica, oltre che del gip che ha emesso la misura cautelare. Dette note sarebbero state inviate dal dottor Tufano all’esito di una attività, definita dalla stampa “indagine interna”, che avrebbe interessato non solo i magistrati requirenti, ma anche il gip, la cui vigilanza com’è noto è attribuita ai presidenti del Tribunale e della Corte d’Appello».

Giuseppe Galante, procuratore capo. L’uomo che ha denunciato Woodcock al Csm il 20 giugno per non avergli fatto vistare le richieste d’arresto per Savoia &C. è lo stesso che fino al giorno prima dichiarava ai giornali: «Woodcock è un bravo magistrato e un fine segugio, mi ha tenuto costantemente informato del progresso delle indagini, ha lavorato bene, ci sono le prove di reati gravi, ero d’accordo le richieste di custodia cautelare». Perché non aveva chiamato Woodcock, cha ha l’ufficio a dieci metri dal suo, per firmare la richiesta d’arresto? E perché, appena il Riesame ha confermato la «solidità dell’impianto accusatorio» dell’inchiesta, è tornato ad elogiare il pm che aveva appena denunciato al Csm?

Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica. Il 20 giugno, nel pieno delle indagini e degl’interrogatori, l’Ansa informa che il Quirinale ha chiesto e ottenuto «una informativa dal Csm sui fascicoli riguardanti il pm Woodcock». Immediata l’esultanza dei vari Rotondi e Cicchitto, seguita dall’annuncio dell’ispezione mastelliana. A memoria d’uomo, non si ricordano casi analoghi di capi dello Stato che s’interessano al fascicolo di un singolo magistrato nel pieno di un’inchiesta così delicata. Qualcosa di simile si verificò nell’estate del ’92, quando Craxi estrasse un dossier sul conto dell’allora pm Di Pietro. Ma Craxi era un semplice segretario di partito, e il dossier non proveniva dal Csm, bensì dalle fogne di qualche servizio deviato.

Clemente Mastella, ministro della Giustizia. Non dice una parola sulla gravità degli scandali emersi a Potenza, ma in compenso esterna ogni santo giorno contro i pm che li hanno scoperti. E sguinzaglia i suoi ispettori alla procura di Potenza, nel pieno delle indagini e degli interrogatori, per ben due volte in meno di un mese: il 20 giugno su richiesta del pg e del procuratore nazionale antimafia Grasso; e il 12 luglio su sollecitazione del prefetto e del ministro dell’interno Amato.

Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia. Anche lui ha voluto dare il suo contributo all’attacco ai magistrati potentini, segnalando al Csm un presunto errore nell’ordinanza di custodia per Vittorio Emanuele: lì si afferma che il «principe» progettava di acquistare i beni sequestrati alla mafia grazie al contatto con una persona della Direzione nazionale antimafia (Dna); invece, secondo Grasso, nell’intercettazione il Savoia parla di Direzione investigativa antimafia (Dia). Si potrebbe risolvere l’equivoco con una telefonata ai colleghi perché si correggano. Invece Grasso prende carta e penna e scrive una segnalazione ufficiale al Csm che, insieme a quella di Tufano e Galante, dà il destro a Mastella di disporre l’ispezione nel bel mezzo dell’inchiesta.

Giuliano Amato, ministro dell’Interno. L’11 luglio, in pieno parlamento, invece di occuparsi delle deviazioni che inquinano il Sismi, il ministro Amato se la prende con alcune procure, cominciare da Potenza: «sono esterrefatto per quanto accade in Italia. Mi dicono che esistono contratti di fatto tra giornalisti e chi fornisce notizie e collegamenti fra procure e giornalisti. Per cui, al momento in cui un atto viene comunicato agli indagati, viene fornita ai giornalisti la password per entrare». Quali sono le fonti di una denuncia così grave e drammatica? Amato cita «un giornalista» e poi, a tarda sera, un rapporto del prefetto di Potenza, non nuovo a dissapori con la procura e molto legato al pg Tufano. Peraltro il rapporto, riguardando presunti illeciti di magistrati, avrebbe dovuto pervenire al Csm o alla procura di Catanzaro, non certo al ministro dell’Interno. In ogni caso, lo stesso Galante smentisce qualunque cessione di password a giornalisti anche perché ci vuol altro che una password per accedere al database di una procura. Mentre scriviamo (il 17 luglio), né il prefetto né il ministro Amato hanno ancora fornito alcuna prova di quelle gravissime accuse, mentre esiste più di un elemento che fa pensare a un tragicomico equivoco, che si spera fortuito: i giornalisti sono entrati in possesso di dischetti con la copia informatica delle 3 mila pagine dell’ordinanza del gip Iannuzzi, consegnata ai difensori e agli arrestati e da quel momento non più segreta. Un fatto assolutamente lecito e normale viene usato ancora una volta per infangare i magistrati che indagano e i giornalisti che informano. E magari per preparare il terreno al colpo di spugna sulle intercettazioni, già tentato l’estate scorsa dal governo Berlusconi, ma invano. Quod non fecerunt Berluscones, fecerunt Mastellae et Amati.

P.S. Henry John Woodcock non è iscritto ad alcuna corrente togata e non ha mai rilasciato una dichiarazione né un’intervista. La prova migliore del fatto che i pm non disturbano per quello che dicono o pensano. Ma per quello che fanno.

Micromega, agosto 2006


E questo è il manifesto che, a mia volta, invito a firmare ed a spedire con urgenza all'indirizzo seguente: cestrim@tiscali.it 


Come è valutabile dal punto di vista deontologico il fatto che nel corso dell’inchiesta sulla misteriosa morte dei “fidanzati di Policoro” avvenuta nel 1988, l’avvocato Nicola Buccico sia stato in un primo momento il legale della famiglia di Luca Orioli e successivamente il difensore di coloro che gli Orioli avevano accusato di negligenza in quelle stesse indagini?

Non è paradossale che la Procura di Matera, su esposto-denuncia del Sindaco Nicola Buccico avvii indagini e disponga perquisizioni, oltre che su giornalisti, anche a danno del Capitano dei Carabinieri di Policoro Pasquale Zacheo, stretto collaboratore del Pm di Catanzaro Luigi De Magistris, titolare di un’inchiesta che coinvolge tra gli altri proprio Nicola Buccico e il capo della procura materana Giuseppe Chieco?

 Anche queste domande sono da ritenersi diffamazioni a mezzo stampa?

E ALLORA

PERQUISITECI TUTTI.

Sottoscrivono il presente manifesto:

Antonio Nicastro – Potenza

Antonio Carcuro - originario di Banzi PZ (segretario comunale e poeta www.carcuro.com)

 

29 luglio 2007

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