LA FESTA DEGLI EMIGRANTI

    Dal momento che - come ho detto altrove - Banzi è un paese sempre in festa, poteva mancarne una dedicata agli emigranti? Certamente no. Così, anche se gli emigranti, quelli veri, sono finiti (per me sono stati tali solo i "gasterbaiter", perciò mio padre, non io, che mi ritengo invece un trapiantato, per quanto la pianta che sono, fino al termine dell'esistenza, non cesserà il suo sofferto adattamento nel diverso e lontano habitat dove sono finito), essi costituiscono un buon pretesto per inventare un'altra festa in piazza nel mese di agosto.
    A taluno di essi poi viene concesso l'onore di qualche premio, od il palco per esibirsi a decantare qualche poesia; e tutto fa brodo, il quale serve comunque a creare fermento in piazza ed attorno ai tavoli dei bar, ad attirare la curiosità dei tanti passeggianti, che, se non altro, riescono ad avere qualche argomento in più da fare oggetto di divertita conversazione, questa volta anche di critica, perché la poesia è come il calcio, tutti se ne intendono e sono in grado di dire la propria.
    L'estate passata non mi sono ritrovato laggiù in agosto, sicché non ho potuto verificare se il mio amico Gerardo abbia aumentato la sua collezione di poesie su "Banzi" e "Il mio paese", rendendone di ciò subito partecipi i banzesi, a meno che egli non abbia deciso di tenerle segrete finché qualcuno non gliele faccia raccogliere per farle oggetto di pubblicazione in un prossimo libro, premurandosi anche ed ancora di farlo finanziare, allertando nel frattempo Pierfrancesco Rescio, a che si tenga pronto per rifarne la presentazione, sicuro che questa volta sarebbe diventato "capace" di assolvere al compito. 
    Qualcuno ha asserito che scrivere e pubblicare a Banzi non deve mica costituire prerogativa e vanto solo di una una persona, la quale si fregi di avere in esclusiva l'aureola di letterato, ma che è giusto e democratico che anche altri possano gloriarsi di essere scrittori.
    Ciò è cosa veramente buona e giusta, ma a scanso di equivoci, io mi chiamo fuori da questi "altri" e rifiuterò sempre (come ho già fatto) di fare ricorso a contributi di istituzioni pubbliche per stampare sulla carta i miei modesti pensieri, che chi non trova troppo noiosi, può comunque leggere qua. Poi, se proprio (come ho già fatto con "Una madre") volessi vedere sulla carta ciò che scrivo, spendo i soldi miei personali, non quelli della collettività. 
    Per quanto riguarda comunque i libri pubblicati da altri scrittori banzesi negli ultimi anni con contributi pubblici, senza subire influenza alcuna dal fatto che intercorra con uno di essi un lontano rapporto di parentela attraverso la defunta sua nonna col defunto mio padre, io dico che non li si può mettere tutti sullo stesso piano, e non solo perché taluno sia in prosa e talaltro in poesia.
    Ma, ritornando al poetare agostano di Banzi, debbo dire che in settembre, transitando dal mio paese e fermandomi alcuni giorni, sono stato reso edotto che anche in questo agosto passato non è mancata la poesia, avendone la prova con l'esibizione di un foglio sul quale ne era scritta autografa una di Pasquale Iacovera, tanto per cambiare dedicata anche questa al paese natio, ma in vernacolo e pertanto dal titolo «U' paes' mij
», dallo stesso declamata in piazza. 
    Per par condicio, nello spirito anche di servizio di questo sito, se Pasquale avesse piacere di vederla pubblicata qua, sono a sua disposizione se me la facesse avere, avendola trovata peraltro simpatica, soprattutto nei versi dove esalta Banzi perché « quann' chiov' o men' u' vint'... non s' fach nint'
», ma io aggiungo che non è che si faccia molto neppure quando il tempo è bello. 
    Dopo aver letto tale poesia, mi è rimasto però un retrogusto alquanto amaro, perché non sono riuscito a trattenermi dal riflettere come facciano tutti quei miei compaesani a campare così felicemente, dediti come sono non pochi in prevalenza al gioco ed al non fare niente. Ed allora io non posso non inferire che ciò è possibile solo grazie anche al riversamento laggiù di una parte di ricchezza che viene prodotta qua al nord, fra gli altri anche da me.
    Se ciò costituisce un effetto aberrante del principio di solidarietà nazionale che mal si sopporta, quello che in particolare io tollero ancora meno è che quel modus vivendi della gente del mio paese comporta anche l'erosione del risparmio grazie al quale si è potuto costruire la casa paterna, risparmio accumulato nel passato con gli enormi sacrifici fatti da mio padre in Germania (che pativa anche il deperimento organico perché si nutriva quasi solo di pasta e patate per spedire tutto intero a Banzi il mensile che guadagnava, anzi arrotondandolo con i lavori straordinari che andava a fare in giro al sabato, riservando la domenica per scrivere la lettera a noi, lavarsi i panni, coltivare l'orto) e da noi figli a Banzi (che andavamo a fare la raccolta del tabacco in estate) e madre (che andava a spigolare, fare legna, zappare la vigna).
    Ebbene cosa avviene adesso? Avviene che di quella casa ogni anno ne viene portato via un pezzo e che, se la si vuole mantenere integra, occorre rimettere i mattoni che il Comune preleva a beneficio della gente di Banzi. In sostanza, attraverso il pagamento dell'ICI, la cui aliquota è a Banzi del 6 per mille, è un po' come se, ipotizzando che la casa sia composta da 100.000 mattoni, per non farla scomparire, ogni anno io debba portarne da Varese i 600 che il Comune mi va a prelevare e che, se fossero di cioccolata, distribuirebbe poco meno della metà di ognuno a ciascun banzese.
    Ed il paradosso è che mentre i banzesi, i quali usufruiscono dei servizi resi dal comune, pagano poco o niente di ICI, grazie alla detrazione di cui usufruiscono, invece quelli come me, che già pagano il comune dove risiedono per i servizi che rende, si vedono costretti a sborsare anche a quello di Banzi l'ICI che non gli ritorna a beneficio di niente, o quasi, costituendo ciò un'aberrazione ignorata dal legislatore, il quale si limita a considerare ed a tartassare come seconde case, quasi che fossero un lusso, della case che invece non lo sono affatto, perché continuano a rimanere, per chi le eredita, più che mai la vera loro prima casa, che si sente il bisogno di conservare come un tempio sacro, un museo.
    Come se non bastasse, il comune ci costringe poi a pagare anche la tassa su rifiuti "putativi", atteso che essa viene applicata per l'anno intero, pur producendo rifiuti solo per qualche giorno.
    A questo punto il retrogusto lasciato dalla poesia di Pasquale Iacovera, si trasforma in qualcos'altro non molto dissimile dal disappunto, anzi dalla rabbia, che rende la digestione di questa situazione molto pesante, soprattutto se si pensa che non è ineluttabile che a Banzi i forestieri come me debbano, alla fin fine, accollarsi lo spreco ed il dolce far niente dei banzesi.
    Invero, a tale riguardo, faccio rilevare che se l'ICI è un'imposta che il comune è obbligato ad applicare, tuttavia la sua misura può essere anche quella più bassa, del 4 per mille, se si facesse pagare ai banzesi residenti l'addizionale IRPEF, e/o si sapesse trovare il modo di non sprecare soldi, di far funzionare il comune in modo più economico, ciò che sarebbe possibile se - per fare solo alcuni esempi - il numero dei dipendenti comunali di Banzi non fosse il triplo di quelli di un comune di pari dimensioni della Lombardia (a cosa servono
tre vigili se ne basterebbe ed avanzerebbe già uno, come è bastato per tanti anni Settimio?); se gli assessori si riducessero a due; se la giunta deliberasse di avocare a sé le funzioni gestionali.
    Invece, scommetto che ciò che accadrà anche a Banzi, come verificatosi già a Genzano, sarà che, piuttosto di istituire l'addizionale IRPEF e porre in essere provvedimenti di contenimento della spesa, si aumenterà ancora di più l'aliquota ICI, portandola caso mai alla misura massima del 7 per mille ed aumentando però nello stesso tempo la misura della detrazione per i residenti (la legge consente di ridurre l'ICI al 50% per loro) sì da scaricare la stessa sempre più sui banzesi - poveri stupidi - non residenti a Banzi, ma che lì conservano la casa paterna... essi si terranno buoni blandendoli con panem et circènses nel mese di agosto!
    La tassa sui rifiuti poi è in piena facoltà dell'amministrazione farla pagare in misura ridotta a coloro che non ci vivono stabilmente nelle case: perché non si delibera ciò? Sicuramente perché a Banzi piace campare (e bene) sulle spalle altrui.
    A me Bossi è sempre stato antipatico, ma temo a questo punto che egli abbia sbagliato ad accontentarsi solo del federalismo ed abbia lasciato perdere la secessione.
    Sarebbe doveroso, per chi ha la responsabilità dell'amministrazione di Banzi, che non si limiti solo a fare la festa agli emigranti nel mese di agosto,
ma che ne abbia rispetto in modo da assumere provvedimenti tali da evitare di esigere da loro sacrifici indebiti, comportanti la subdola sottrazione del sacrosanto frutto dei risparmi dei propri genitori, costati tante sofferenze e rinunce.
    Altrimenti, o, come ho visto fare già qualcuno, per sottrarsi a tali "spremute" si svendono (se si riesce) le case e si ritorna al paese in camper quando se ne sente il bisogno (per andare per esempio a posare i fiori sulla tomba dei genitori alla festa dei morti), oppure gli emigranti, quando ci sono le elezioni, vengono in massa a prendere la residenza a Banzi per redigere anche loro un programma elettorale (a tale riguardo avrei in serbo qualche ulteriore proposta da fare, ancora più drastica ed efficace rispetto a quanto detto sopra), trovando chi lo voglia far proprio e dandogli i voti. E così, per una volta, la festa la farebbero loro, gli emigranti, a certi furbi che sono rimasti a Banzi.


    Debbo fare una precisazione rispetto a quanto ho scritto in fondo alla pagina "Gli emigranti non ritornano più", e cioè che ieri 4 gennaio 2006 mi è giunta la cartolina natalizia dal signor sindaco di Banzi. Però, a differenza di quella dell'anno scorso, speditami da Banzi il 16 dicembre, questa risulta spedita invece stranamente da Potenza il 20 dicembre, esattamente la data in cui ho pubblicato in questo sito la pagina citata innanzi. Io penso di averne capito il perché, ma non intendo darne qua la spiegazione.
    Ringraziando comunque il signor sindaco dell'onore che ha continuato a concedermi con questa sua sia pur tardiva cartolina di auguri, desidero tuttavia pregarlo di evitare il prossimo anno di spedirne ancora, risparmiando quel circa un Euro speso a carico della collettività, e non perché lo metta da parte per offrirmi il caffè quando dovessimo incontrarci ancora (ho già detto altrove che "il caffè mi rende nervoso"). Del resto, il caffè non me lo aspetto neppure più, anzi non mi aspetto niente altro.
    Nel mondo giuridico viene contemplata la categoria dei millantatori di credito, la quale viene anche punita dal codice penale; nel puntino denominato Banzi vi è una sua sottospecie, denominata «vucc'lon'», la quale è invece innocua, atteso che serve solo talvolta a fare folclore ed a divertire un po', facendo credere ad esempio ad un arcivescovo di aver fatto la sua prima visita fuori sede in una moderna cittadina.
    Io ne ho conosciuto qualcuno. Mi piacerebbe se Tonia Ricciardi integrasse la sua poesia "Il mio paese" così: «Nel mio paese c'è tanta gente/vispa, allegra ed intelligente/fra di essa qualche simpaticon'/che diverte a fare u' vucc'lon'».
    Ma, forse, sto dando troppi suggerimenti, correndo il rischio di  risultare antipatico anche a questa sconosciuta bambina. Allora lascia perdere Tonia, non cambiarla la poesia, che ormai sarà stata imparata anche a memoria da chissà quante persone, proprio attraverso e grazie a questo sito.

05 gennaio 2006

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