LA LETTERINA DI NATALE

    Era parte integrante della liturgia del Natale, per noi scolari  adempiere al rito della "letterina". Ce la dettava a scuola il maestro. Quello mio ce la faceva infarcire di belle, retoriche, pompose espressioni, il cui significato percepivamo vagamente, in modo approssimativo. 
    Ce la dettava a scuola sul quaderno; poi a casa la trascrivevamo su appositi preziosi fogli, che andavamo a comperare da Farnidd. Ci mettevamo molta cura ad usare la migliore calligrafia, per non deturpare le belle immagini stampate sul foglio. La si leggeva poi il giorno di Natale, a fine pranzo.
    Era d'uso che mia madre la nascondesse sotto il piatto di mio padre, il quale - recitando la parte - faceva finta di non accorgersene durante tutto il pranzo. Poi, concluso il pasto, egli esclamava per la sorpresa di trovare una letterina: di chi è, di chi non è, la apriva e, vedendo che ne ero io l'autore, me la dava da leggere.
    Chi mi sta leggendo adesso qua immaginerà l'atmosfera serena e gioiosa in cui avveniva la lettura della letterina, la mia baldanzosa contentezza ad esibirmi come piccolo attore. Invece niente affatto: la letterina di Natale costituiva per me un autentico dramma, era un incubo che mi rovinava le feste, le quali cominciavano per me solo dal pomeriggio del giorno di Natale, quando il terrore della letterina si era finalmente dissolto.
    Fin dalla mattina io tenevo sotto assiduo controllo mia madre nei movimenti che avrebbe fatto. Quando apparecchiava la tavola, speravo che caso mai si dimenticasse della mia letterina. Ma lei, scaltra, sapeva cogliere l'attimo (in ogni caso mio padre avrebbe fatto finta di non vedere, o, se se ne fosse dimenticata, glielo avrebbe ricordato in segreto lui) per infilare sotto la tovaglia, al posto dove si sarebbe seduto mio padre, la mia letterina che già teneva con sé in qualche parte tra i suoi vestiti. Sicché, con quel gesto, capivo che la condanna non mi sarebbe stata risparmiata.
    A quel punto lo stomaco si chiudeva e mangiavo con gran fatica il ben di Dio che potevamo avere solo il giorno di Natale. Non facevo altro che scrutare gli sguardi dei miei genitori, soprattutto delle mie sorelle e di mio fratello, che cominciavano ad annunciare con sorrisetti ironici e maliziosi il loro gusto sadico di vedermi cimentare nella recita di fine pranzo, che ahimè sarebbe comunque arrivata. 
    Quando mio padre, eseguita la messinscena della sorpresa, mi porgeva la letterina da leggere, il panico mi aveva fatto del tutto sua preda: la voce mi tremava, le parole mi uscivano stentate, riuscivo a pronunciarne appena alcune e, mentre i sadici dei miei fratelli cominciavano a ghignare dal divertimento, io scoppiavo in singhiozzi e lacrime, lasciando interrotta irrimediabilmente la lettura della dannata letterina di Natale.
    Valga ciò a far capire come nelle cose che sembrano essere scontatamente le più belle, possa invece celarsi qualche motivo di angoscia.
    Le letterine per fortuna finirono ed il Natale divenne davvero una ricorrenza, un periodo di grande serenità e gioia. Perchè finalmente, dopo un anno, esso ci faceva  rivedere nostro padre che, come tanti negli anni '60, era emigrato in Germania. L'attesa del suo arrivo era spasmodica, non facevo altro che prestare orecchio al rumore delle macchine, soprattutto della seicento multipla di "Pettiross", quella che con maggiore probabilità lo avrebbe condotto dalla stazione di Palazzo San Gervasio. Nel frattempo io ero andato dal barbiere a tagliarmi i capelli, in modo che mio padre mi trovasse il più in ordine possibile e non trovasse alcunché in me che potesse essere motivo di turbamento della contentezza di vedermi. Vedevo infatti poi che con lo sguardo mi faceva una rapida passata in rassegna e dalla sua espressione capivo che rimaneva contento e compiaciuto di me.
    L'attesa dell'autovettura però a volte diventava infinita, arrivava sera, si andava anche a letto senza che lui fosse arrivato. Poi alla notte sentivo sbattere una portiera di macchina davanti a casa, sentivo bussare alla porta e finalmente era lui, mio padre. Tutti balzavamo dal letto a salutarlo, ma la manifestazione completa della gioia di rivederlo veniva rinviata al domani, come pure l'attesa di vedere cosa ci fosse nelle sue valigie in regalo per noi.
    Ed il mattino mi svegliavo col sottofondo della sua voce e di quella dello zio Rocco, suo fratello vicino di casa, che era venuto anche lui a salutarlo. Conversavano e fumavano contenti. Le sigarette le costruivano con tabacco e cartine portati dalla Germania, fumavano a volontà, senza alcuna parsimonia. 
    Udivo mio padre magnificare la sua situazione in Germania, dove finalmente aveva il mensile assicurato: che fosse bel tempo, piovesse o nevicasse - egli diceva - quando si alzava era come se trovasse sotto il cuscino la giornata già pagata, mentre a Banzi, quando il tempo era cattivo, c'era solo da bestemmiare. Che poi venissero sacrificati i suoi ed i nostri sentimenti d'affetto, ciò era una conseguenza ineluttabile, altrimenti avremmo vissuto praticamente nella miseria, riuscendo appena a poterci sfamare.
    Poi avevamo in dono ciascuno una tavoletta di cioccolata (all'epoca c'erano in commercio solo delle minuscole tavolette della Ferrero, che costavano dieci lire e contenevano una figurina dell'epopea garibaldina). Io mi ripromettevo di consumarla lentamente, mangiandone un pezzettino per volta come companatico. Allora cercavo qualche segreto nascondino che la mettesse al riparo dalla voracità della mia sorellina, la quale però puntualmente la riusciva a scovare e me la faceva fuori, sicché lei ne mangiava praticamente il doppio di me. 
    Quando non la trovavo più sottoponevo mia sorella ad un incalzante interrogatorio, ma lei negava anche con le lagrime agli occhi di essere stata la ladra. Salvo poi, quando bisticciavamo, provocarmi dichiarando apertamente di avermi rubato la cioccolata. Ma oramai la collera mi era passata, ed anche l'acquolina in bocca, così la faceva franca definitivamente.
    Ora non si usano più le letterine di Natale, non ci sono neppure i nostri padri emigranti che ritornano per le feste, non occorre aspettare questa ricorrenza per poter mangiare una volta tanto un po' di carne e qualche dolce: il Natale è diventata una ricorrenza noiosa, tale che auspicabilmente passi in fretta.

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