LA MIA GATTA NON AVEVA NOME
Ultimamente
mi sono pervenuti due messaggi contenenti espressioni molto lusinghiere per i
miei scritti: peccato che non li possa pubblicare, perché i loro autori
(autrici anzi) hanno espresso il desiderio che non appaia il proprio nome su questo
sito ed allora inserirli in modo anonimo perderebbero di valore, e probabilmente
ciò non sarebbe neppure sufficiente per evitare di risalire al loro nome.
Uno dei due mi ha procurato una soddisfazione particolare,
perché sono venuto a sapere che le pagine qui pubblicate sono apprezzate addirittura
anche dalla gatta di famiglia, di nome Kobolda (spero che dal nome della gatta
non si riesca ad identificare i loro padroni).
Siffatta notizia, oltre ad avermi suscitato un certo stupore,
mi ha fatto fare anche la riflessione che gli animali domestici attuali, a
differenza di quelli di una volta, hanno una maggiore dignità, perché oltre ad
essere nutriti bene, curati, vaccinati, sono anche battezzati con un nome.
Immagino allora quanto rispetto abbia Kobolda in casa dei
suoi padroni, avendo facoltà di scegliersi il posto che più le aggrada per
sedersi o sdraiarsi, muovere la coda, farsi il maquillage, fissare i padroni,
determinando quando e con chi andare a strusciare la testa contro le gambe o
sedersi in braccio, oppure fare ginnastica saltellando da un mobile all'altro,
concludendo la stessa con una "marcia", più o meno trionfale, sulla tastiera del pianoforte,
che sicuramente sarà stato lasciato aperto per consentire di dare sfogo
all'estro musicale del felino.
Poi scommetto
che Kobolda avrà esigenza di svolgere anche vera e propria attività
intellettuale ed allora, se forse non andrà ad aprire gli sportelli delle
vetrine contenenti i libri ed a tirarli giù, certamente non mancherà di salire talvolta sulla
scrivania mentre qualche suo padrone ne sta leggendo uno, mettendosi al lato per
annusarlo, sbirciare qualche riga, oppure addirittura piazzarsi in mezzo al libro aperto
durante le pause dello studioso di turno, aiutandosi con la coda per segnare
l'ultimo rigo letto e muovendo intensamente le vibrisse per l'emozione.
Se, invece, la gatta fosse un tipo agnostico, probabilmente si
piazzerà davanti al suo padrone dedito alla lettura e, fissandolo intensamente,
lo degnerà di ogni commiserazione nel vederlo immobile davanti ad un libro
aperto, interrogandosi sul perché, per un certo periodo di tempo al giorno,
diventi così muto e stupido, dal momento che ritiene più degno di attenzione quell'oggetto
inanimato, piuttosto che lei, che sicuramente lo avrebbe gratificato almeno con
le fusa.
Allora forse tenterà di farlo uscire da quella specie di
stato comatoso, gli si avvicinerà, provando a farlo risvegliare e venire un po' di buon umore con qualche zampata sul libro, convertendolo in una
sorta di gioco.
Il suo padrone non potrà non ritenere a quel punto, se non proprio di dover
riporre il libro nello scaffale, almeno cosa giovevole fare una pausa con la
gatta: immaginate adesso quante effusioni tra i due, quante morbide
zampate la gatta renda al padrone ad ogni sua carezza: non è questo
piacere degno di essere annoverato tra le cose più belle della vita?
Io ritengo sicuramente di sì, per quanto non abbia mai avuto
a che fare con Kobolda, non avendo incontrato mai né lei, né i suoi padroni.
Tuttavia, so bene le sensazioni che si provano con una gatta, per averla avuta
diversi anni a Banzi, anche se lei non si chiamava Kobolda e non aveva alcun
nome.
Quando giunse a casa aveva poche settimane, era tutta smunta
e selvatica, non facendosi avvicinare se non a rischio di zampate con le unghia
in fuori: le mie braccia infatti furono solcate da un sacco di suoi graffi. Mio
padre per rabbonirla ed addomesticarla le faceva annusare in alto il lardo
appeso. Poi aveva la diarrea (u' z'laridd) che mia madre le fece passare
somministrandole palline di piombo, da me andate a comperare da Antonio Simone,
detto ancora il
fornaio, per quanto all'epoca avesse messo il negozio e chiuso il forno.
Siffatta terapia si rivelò efficace, perché quel misero
esserino si rifece presto, forse anche grazie alle coccole ricevute da tutta la
famiglia, ma nondimeno al cibo, abbondante e genuino. All'epoca infatti di topi
ce ne'erano in sovrabbondanza, sia in campagna, sia, soprattutto, nelle case ed
egli ne poteva mangiare a sazietà.
Talvolta, divenuta più grande, per farsi vedere quanto fosse
brava, si esibiva a giocare con due topi insieme, correndo cor rapidi
balzi avanti ed indietro ad acchiappare ora l'uno, ora l'altro mentre
tentavano di fuggire per mettersi in salvo, finché non avesse deciso di
mandarli giù, cominciando a sgranocchiarli dalla testa fino ad arrivare alla
coda, leccandosi poi i baffi.
Non di rado poi la vedevi arrivare con qualche passerotto in
bocca, lì finito a seguito di sfortunati tentativi di volo. Ma quelli non glieli
facevo mangiare, glieli sfilavo delicatamente dalla bocca e li rimettevo in
libertà, sperando che le passere loro mamme riuscissero a prestare loro un soccorso
efficace.
La nostra gatta, però, non la battezzammo
con alcun nome: all'epoca forse qualcuno dava i nomi solo ai cani, affettando
distinzione sociale anche in ciò, come don Peppe che, se non ricordo male,
diede il nome di Argo al suo cane da caccia, fatto da lui anche oggetto di dipinto, che è
possibile vedere tuttora nell'ingresso della sua abitazione, per quanto adibita
ora ad ambulatorio medico (sono scomparsi invece dalle pareti i quadri
contenenti le aquile, di cui era cultore il cognato fascista di don Peppe, il
medico De Mattia, padre di quello che sarebbe diventato pure lui un medico-oculista,
ma fasullo).
Pur senza nome, i gatti comunque venivano chiamati dai
padroni. Lo si faceva però tutti alla stessa maniera: "muscill!", se
era maschio, "muscell!", se era femmina. La mia gatta allora io la
chiamavo "muscell!" e lei prontamente mi rispondeva con un
"mrrrrr!!!" (non so perché si dice che il gatto faccia miao, quando la
mia gatta l'ho sempre sentita fare invece il verso"mrrrrr!!!") . A
differenza della chiamata, che si volgeva, come visto, in diverso modo a seconda
che il felino fosse maschio o femmina, la risposta era invece univoca e bisex:
"mrrr!!" e basta, potendo variare solo nel numero delle "r"
o dei punti esclamativi a seconda dell'intensità del sentimento di tenerezza che l'animale
intendesse esprimere nei confronti del padrone.
Le "r" ed i punti esclamativi erano numerosi quando
a rispondere alla sua padrona era la gatta della vicina zia Rosa, soprattutto
dopo che lei aveva superato i 90 anni e le due voci, della padrona e della
gatta, sembravano assomigliare per l'intonazione flebile e lamentosa: "muscell!!!",
"mrrrrr!!!!! Non sono riuscito però a sapere quante fossero le
"r" ed i punti esclamativi emessi dalla gatta dopo che la padrona è
morta, perché io non ero più a Banzi.
Neppure ho potuto sentire aumentare le "r" ed i
punti esclamativi della mia gatta, perché essa è scomparsa precocemente,
atteso che un giorno non ha fatto più ritorno a casa, finita probabilmente
cucinata da qualcuno al posto di un coniglio: all'epoca c'era chi faceva ciò al
mio paese.
Quanto ne avvertii la mancanza, soprattutto d'inverno,
non sentendola più venirsi a posare sui piedi del letto, o ad infilarsi
cautamente dietro la schiena, ad accovacciarsi sul petto, auscultando il mio
respiro ed i battiti del cuore, vigilando sui miei sogni.
Non di meno sentii la sua mancanza quando ritornavo da
scuola, perché lei mi stava sempre ad aspettare, venendomi incontro,
strusciandomi la sua testa contro le gambe ed aiutandomi poi a finire il piatto
di pasta, che facevo fatica a mandare giù, perché, arrivando da Palazzo San
Gervasio alle tre del pomeriggio, lo trovavo ormai immangiabile, divenuto
com'era, pur ancora caldo sotto la coperta, un ammasso colloso.
Se talvolta mi proietto nell'aldilà e spero di potere
rivedere chi ho incontrato in questo mondo, la gatta rientra sicuramente tra
coloro che mi piacerebbe reincontrare. Scommetto che anche se lì le avessero
dato nel frattempo un nome, lei sentendosi chiamare da me "muscell!",
mi risponderebbe con un "mrrrrr!!!!!!" contenente chissà quante
"r" e punti esclamativi, e balzandomi prontamente in braccio con
tanta voglia di farsi accarezzare.
Scommetto poi anche che, se per caso la padrona di Kobolda
dovesse leggere questa pagina, la gatta non rimarrebbe solo sorniona a scrutare
con commiserazione la stessa ed a farsi la domanda di cui sopra, bensì si
avvicinerebbe al computer muovendo le vibrisse in modo tale da captare le onde
emotive emanate dalla sua anonima simile, allungando forse anche qualche morbida
zampata verso il monitor; la sua padrona le farebbe allora una carezza sulla
schiena arcuata, chiamandola per la prima volta "muscell!" e sentendo
a sua volta, sempre per la prima volta, rispondere, anziché miao, "mrrrr!!!",
con un discreto numero di "r" e di punti esclamativi.
P. S. La mia gatta non aveva nome ma fu dipinta anche lei da me: il suo ritratto lo vedo spesso e volentieri a Banzi sfogliando un vecchio album da disegno della scuola media: mi pare che il mio professore di disegno Mimmo Festino mi avesse dato per esso anche un bel voto.
(22 agosto 2005)