ONORE AL MAIALE

   Ci sono suoni che a Banzi non si udiranno mai più. A cominciare, soprattutto, da quello emesso dalla voce di mia madre, quando si affacciava alla porta e, per chiamare mio fratello Domenico, perché rincasasse per mangiare, gridava a squarciagola: "M'ngoooo". Per proseguire con quelle dei banditori del paese. Me ne ricordo tre: Rosa, "Bandiera Rossa", Peppino Faggella, l'ultimo ad aver esercitato tale "professione". Poi con quella di mio zio Nicola il lupinaio, che esaltava i suoi lupini, esclamando: "cum so saprit, cum so saprit!"; dei venditori ambulanti: "Ciccill u visciglies" e Lorinz u palazzes", quelli rimasti più impressi nella mia memoria, insieme ad una contadina di Genzano, che irrompeva nel silenzio del mattino gridando ossessivamente "ciquer, ciquer" (cicorie, cicorie), che veniva a vendere trasportandole con la ciuca; ma anche dei ragli dei somari, del nitrito dei cavalli e del loro scalpiccio, insieme con quello delle greggi che attraversavano le strade al mattino presto ed alla sera, della cantilena delle galline e dei chicchirichì dei galli, del maglio di "Mast Rocc", del rumore delle ruote dei traini, dei battiti del trattore Landini, del corno del fornaio.
    Sto tralasciando sicuramente tanti altri che meriterebbero di essere ricordati, ma io ne voglio menzionare solo un ultimo: l'urlo straziante del maiale, che echeggiava qua e là per il paese verso la fine dell'anno, quando si consumava il suo sacrificio.
    Se io fossi un sindaco, farei un monumento da porre nel cuore della piazza sul quale elencherei tutti questi suoni, perché non sia solo io a ricordarmene, appartenendo essi alla storia della nostra comunità, alla quale ne attribuiscono l'identità, e meritevole pertanto di esserne tramandata la memoria. 
  
Ed a proposito di monumenti, un altro erigerei anche a tutti gli emigranti, che hanno fatto sì che, con la loro sofferenza e tristezza patite in lontane terre straniere, arrivasse il benessere nel paese, di cui a goderne sono stati soprattutto i diversi commercianti dell'epoca (Romeo, Simone - zio e nipote - Ciccotti, che hanno riempito le case di elettrodomestici - radio, televisione, giradischi, stufe, divani, lampadari) e coloro che lì vi sono rimasti: carabinieri, amministratori, impiegati, maestri, i quali ultimi, caso mai per una sorta di ironica gratitudine, bistrattavano i loro figli che avevano come scolari.
    Di ciascun emigrante meriterebbe venisse scritto un romanzo, per raccontare le vicende vissute, le sofferenze, le ansie, le angosce, le speranze, i rari e fugaci momenti di gioia.
    Ma i sindaci anelano solo ad immortalare se stessi, mettendo e togliendo in continuazione fontane, cambiando look alla piazza,  inserendo l'elenco dei propri nomi in qualche libro, ignari che quando hanno finito di essere tali, nessuno se li ricorderà più, o meglio, se qualcuno può aver motivo di ricordarseli, farà di tutto per dimenticarseli. 
    Del resto neppure le statue di re, imperatori e quant'altri vengano erette nel mondo, anche se non fanno la fine di quelle di Saddam Hussein, non servono a niente: tu le puoi anche guardare, ma quali sensazioni ti fanno provare? Per caso ti emozionano? Quasi al cento per cento, poi, quando re, imperatori, ma anche papi (con qualche rara eccezione, come ad esempio Giovanni Paolo II) muoiono, la maggior parte del popolo esclama sicuramente con un misto di sollievo e compiacimento: "e sei schiattato anche tu!"
    Quello che si ricorda, invece, è un sorriso, un gesto gentile, di tenerezza o di bontà di una persona, soprattutto di quelle qualunque, la loro faccia, la loro voce. Così a me, se viene da rievocare persone di Banzi, quelle che si affacciano subito alla memoria, sono una donna Teresina, una maestra Garramone (di certo non suo marito "Cacagnidd", con cui peraltro ho avuto la fortuna di non averci a che fare, essendomi già bastato ed avanzato "Carbonella"), un padre Celestino, uno zio Nicola di Meo, un Antonio Puntillo (quando vado al cimitero non manco mai di passargli davanti, soffermandomi a ricordarlo per la sua simpatica bonomia) ed altre persone del genere.
    Ma mi ricordo anche di tutti gli animali con cui ho avuto a che fare, maiali compresi, anzi soprattutto. Uno me ne è rimasto particolarmente impresso, e la cui memoria intendo qui onorare.
    A differenza degli altri maiali, che si acquistavano già di una certa età e taglia, ordinariamente alla fiera del 7 settembre, venduti perlopiù da mio nonno Antonio Teto di Genzano, e che si ingrassavano per essere ammazzati a fine anno, il maiale di cui resuscito qui il ricordo, lo prendemmo molto piccolo e lo allevammo a lungo, portandolo anche in giro per la campagna. Ad esso finii per affezionarmi molto, sicché, quando anche per lui giunse il giorno in cui doveva fare la fine di tutti gli altri maiali, fu per me un motivo di grande dispiacere, forse addirittura un dramma.
    Me ne andai allora lontano per non sentire le sue urla strazianti, e per un tempo adeguato a che, ritornando, fossi sicuro che il maiale fosse stato già scannato, dissetolato, aperto, appeso alla trave. Nonostante il dispiacere, non potetti però trattenermi dal divorare il sanguinaccio e le interiora, che in un certo senso mi furono di un po' di consolazione.
    Una volta con gli animali il rapporto era più "umano", le galline si godevano la libertà di razzolare in giro, il maiale era un componente della famiglia e viveva in casa insieme, trattato con ogni riguardo, accarezzato. Mi suscita orrore invece l'idea dei miliardi e miliardi di animali che trascorrono la loro breve vita nelle gabbie, senza poter provare alcuna gioia del creato e, pure a loro, potendo, bisognerebbe fare un monumento per onorare la memoria della loro vita.
    Non mi piace per niente il progetto fatto da Dio, se fosse vero che lo ha fatto lui, di ritenere gli animali al servizio dell'uomo, solo materia da supermercato. C'è qualcosa che è stato sbagliato, e spero che, prima o poi, venga posto rimedio, in modo che il mondo possa assomigliare a "Il mondo che sogno", io.
    E, se proprio fosse necessario ammazzare ancora un maiale, come quello che ho qui ricordato, mi piacerebbe almeno che ciò avvenisse mentre lo tengo abbracciato stretto forte a me, per condividere l'angoscia ed il dolore da lui provati, per confortarlo, e per fargli sentire in quel momento supremo tutto il mio amore.

22 novembre 2005

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