"TEMPO" DI RICORDI

   
  L'altro giorno, all'improvviso mi è affiorata alla mente l'immagine di un campo di fave: essa non mi è spuntata però come un fungo, ma forse qualcosa nell'aria me ne ha suscitato il ricordo, giacché quel campo non era immaginario ed indistinto, bensì preciso, nitido come una fotografia, che la memoria è andata a rispolverare nell'album dei ricordi dell'anima, da questa scattata forse mezzo secolo fa, o poco meno.
   Quando sono ritornato a casa, gliel'ho detto a mia moglie, e le ho soggiunto pure che tra qualche anno vorrò coltivare anch'io le fave, vorrò riprovare ancora la sensazione di ritrovarmi tra quelle creature verdi miti dai bei fiori bianchi con gli occhi scuri: lei non mi ha contraddetto, perché sa che sono tante le cose che mi riprometto di fare, e non proprio tutte poi le realizzo; però non mi vieta di sognare, anche perché le piante e la natura piacciono anche a lei, non escluse neppure le fave.
   Infatti, sarà stato quel parlare, ma stasera ha preparato per cena proprio un bel piatto di fave fresche in umido, ed immagino non solo per assecondare il mio desiderio, che peraltro era di natura più visiva, piuttosto che avere a che fare col palato.
   Tuttavia, a fronte della determinazione di applicarmi come contadino a coltivare fave, sono stato preso però da un dubbio: in quale latitudine e longitudine andare a reperire il campo dove coltivarle? E quel dubbio mi è rimasto, perché forse il campo di fave che mi emoziona non è lo stesso ovunque. Ma a risolverlo, come diceva Rossella in "Via col vento", ci penserò domani, dopotutto, domani è un altro giorno.

   Oggi, però, è ancora "tempo" di ricordi, perché sembra essere ritornato l'autunno-inverno, con una pioggia fitta ed insistente, che scroscia in giardino e nel parco circostante, ed io rimango a lungo fuori ad ascoltarla, piacendomi anche bagnarmi un po' la testa. E' un piovere, tuttavia, che sebbene non temporalesco, all'improvviso, come un fulmine, mi fa ricordare una parca cena consumata nel 1974 a casa a Banzi, con mia madre e mio padre.
   Quel giorno feci un giro in bicicletta, "ammont' alla tabbell", cadeva ogni tanto qualche bava di pioggia; ad un tratto notai dei funghi bianchi, intuii potessero essere commestibili (in seguito mi spiegarono che erano dei prataioli, in dialetto "cucchimedd"), li raccolsi e li portai a casa. 
   Mia madre - più incline alla fiducia di mio padre - non esitò a guardarli subito come oggetto degno di una bella cena; anche mio padre, tuttavia, quando riconobbe essere quei funghi "cucchimedd'", mise da parte il suo motto "chi mor' pu' fong fess' a chi u chiang'", e si preparò a gustare quella prelibatezza.
   Quando i funghi furono nei piatti, la pioggia cominciò a cadere copiosa, ed a scrosciare proprio come stasera.

   Le piante in giardino, per l'abbondante pioggia, si inchinano troppo; allora cerco di mettere qualche sostegno all'oleandro, figlio della pianta che c'era sul terrazzo di casa a Banzi, venuto con me anch'esso in Lombardia: chissà se la pianta madre, che interrai nella villa di Banzi a fine agosto 2004, è ancora sopravvissuta!
   Puntello poi anche il melograno, che promette di fare quest'anno una miriade di frutti, anche se essi non avranno mai lo stesso gusto dei melograni che raccoglievamo alla vigna di Genzano del nonno materno! E quest'anno stanno crescendo rigogliose e numerose anche le margherite giganti importate da Banzi, avute in omaggio alla stazione di servizio di Rocco.
   Poi la pioggia scroscia fragorosa anche sulle due querce del Canada che si trovano davanti nell'aiuola dell'incrocio, che in autunno sembrano grandinare con le loro ghiande: peccato, però, che esse finiscono solo per essere succhiate nella spazzatrice! Mia madre le ghiande andava invece a raccoglierle al bosco per darle da mangiare al maiale, ed una volta ci andai insieme anch'io, ma non ne raccolsi molte perché rimasi incantato a guardare un pettirosso, che potei vedere per la prima volta e che tentai invano di acchiappare.

   Piove, piove ancora, e soffia ora anche il vento. Una volta sarei andato già a letto, mentre esso faceva dondolare il lampione appeso al filo in mezzo alla strada davanti a casa, e strapazzava qualche straccio rimasto appeso: mi sarei affidato fiducioso subito all'abbraccio della notte: spettri e fantasmi sarebbero stati tenuti lontani dai latrati dei cani.

02 giugno 2007

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