DE FINIBUS TERRAE

    Nella sua poesia "Mietitori", Rocco Scotellaro recitava:

"Hanno alloggiato
sulla nostra piazza un mese.
Il mietitore leccese
è partito per ultimo
con la sua bicicletta da passeggio."

    Io non ricordo se ci fossero dei leccesi fra i mietitori che, anche a Banzi, alloggiavano una volta in piazza, sicuri di poter riposare, atteso che all'epoca non esisteva l'andirivieni chiassoso delle persone dei tempi nostri, che si attardano fino a notte fonda ad oziare per procurarsi la stanchezza necessaria a conciliare il sonno.
    Dei leccesi, tuttavia, se non li ho incontrati nell'ambito della mietitura - che non ho fatto in tempo a praticare, essendo riuscito solo ad andare a spigolare con mia madre - li ho incontrati nella raccolta del tabacco, ed ho potuto constatare quanto fossero laboriosi, laddove, anche quando giungevamo alla masseria di "Cicatidd" - a Palazzo San Gervasio - che non era ancora giorno, essi erano già nei campi, intenti a farne la raccolta alla luce di lumi. Con ogni probabilità, poi, essi, oltre ad essere stati i primi ad iniziare la giornata di lavoro, saranno stati anche gli ultimi a finire la raccolta, ritornandosene al proprio paese - caso mai pure loro in bicicletta - solo quando le piante fossero state tosate completamente e di esse rimasto il nudo stelo.
    Dopo i lavori estivi adolescenziali, ebbi occasione di fare un altro incontro di una persona leccese, di Montesano Salentino per l'esattezza: accadde durante la frequentazione dell'università a Bologna, ma quella volta rimasi colpito non più dalla sua laboriosità, bensì dalla sua grazia. 
    Successivamente la gente di quella estrema terra pugliese l'ho fuggevolmente incontrata sui treni espressi che facevano la spola della nostra penisola, ancora una volta primi a salirvi su - a Milano, provenienti soprattutto da Germania, Svizzera ed altri Paesi europei -, ed ultimi a scendere; e che stupore immaginare, quando scendevo a Foggia, che il loro viaggio non era ancora finito e sarebbe durato ancora ore, prima di approdare in fondo all'Italia! Non per nulla, quando volevo indicare una distanza pressoché abissale, od un viaggio in treno che assomigliava ad un'odissea, il mio riferimento era proprio Milano - Lecce, e viceversa.

    Quest'anno mi sono spinto per la prima volta anch'io a fare la scoperta di quel luogo "de finibus terrae": Santa Maria di Leuca, uno dei punti estremi dove comincia l'Italia, e dove il mare Ionio si congiunge con quello Adriatico.
    Qui non voglio intrattenermi a decantare la bellezza del posto, la suggestione del faro nella notte e del sole che spunta nell'Adriatico e tramonta nello Ionio, la limpidezza del mare e del cielo, il fascino delle grotte, la meraviglia della vegetazione e dei colori di bouganville ed oleandri, la luminosità intensa del paesaggio (Leuca deriva proprio da luce), intendo invece dire di alcune cose che ho scoperto avere la valenza di denominatori comuni col mio paese.
    Nel periodo precedente la partenza per le vacanze, stranamente, avevo avvertito un bisogno acuto di mangiare fichi, ritornandomi alla mente quando si spalmavano come prelibatezze su fette di pane lunghe trenta centimetri. Ed ecco che a Santa Maria di Leuca trovo alberi di fichi ovunque (anche lì, come a Banzi, quei frutti si chiamano "fiche" senza alcun imbarazzo), che non ho esitato a cogliere, praticando con essi una sorta di terapia intensiva, completata poi con uva, pomodori e peperoni (ed aggiunta di fichi d'india)  che ho divorato a sazietà.
    Sul lungo mare ci sono cartelli pubblicitari posti su vasconi contenenti piante: cosa trovo indicato su uno di essi?: "La Chianca".
    In vacanza, ovviamente, si fanno delle conoscenze. A me sarebbe piaciuto approfondirne una, di una persona che sembrava osservarmi con un certo sguardo, attratta forse non solo dalla mia abbronzatura (al mare sono sempre il più nero della spiaggia). Invece la conversazione si approfondisce solo con suo marito, che scopro essere un vicesindaco di un comune in provincia di Caserta, così l'interesse della signora cede il posto a quello del marito, pronto (... non fraintendete) ad offrirmi il posto da segretario nel suo comune. 
    Ma adesso non ne ho più bisogno, e poi - come si premurava di dire una sindachessa, nell'intento di dissuadere un suo collega che mi stava per incaricare, e che noncurante dei suoi giudizi mi incaricò -: "non sai chi ti prendi!".
    Del resto, non era solo quella sindachessa a pensarla così: anche mio padre era solito dirmi: "beato chi ti perde e povero chi ti trova!". Dubito, tuttavia, che si sia sentito beato quando mi ha perso, per essere stato trovato io da mia moglie: sicuramente, però, sarà stato contento. Io, invece, non mi sono sentito né beato, né contento quando ho perso lui.
    Quel vicesindaco l'ho incontrato mentre guardavo una mostra fotografica su "Giovanni Paolo II: con i bambini in viaggio". Mi si è avvicinato per salutarmi perché stava per partire: l'ho riconosciuto a fatica, e solo grazie e per associazione al sorriso di sua moglie.
    Andando in giro per Santa Maria di Leuca, rimango ammirato dallo splendore dei bouganville, ma ne ignoravo ancora il nome; glielo chiedo allora ad una persona lì vicina; arriva poi il padrone col quale si comincia a conversare, facendomi accomodare dentro in giardino. Quel signore si chiamava Francesco Paolo Valentino e, oltre ad essere padrone della villa con i bouganville, lo è anche di un calzaturificio  le cui scarpe, "Elata", calzano i piedi a dive di Hollywood. 
    Ma soprattutto, il signor Valentino è autore di un libro - di cui mi fa dono prezioso di una copia - dal titolo "Appunti per la Storia del Comune di Matera" - dove ha prestato servizio come ragioniere dal 1943 al 1983 -, lasciando con esso ai posteri, al termine del suo servizio, una dovizia di documenti, fatti e testimonianze, raccolti con metodicità certosina sulla sua natale "Città dei Sassi", iscritta nell'Unesco quale patrimonio dell'umanità (a proposito, mi ha spiegato come all'epoca Matera gareggiasse, per il prestigioso riconoscimento, con la città di Orvieto, sulla quale infine l'ha spuntata).
    In quel breve incontro egli mi ha tracciato subito i capisaldi della storia del capoluogo lucano, facendomi vivere come in diretta la trasmigrazione sua e della popolazione dalle caverne ai nuovi insediamenti, grazie all'interessamento dell'allora capo del Governo Alcide De Gasperi, che, colpito dall'incredibile situazione trogloditica in cui la gente di Matera viveva, non esitò a promuovere una legge ad hoc per il risanamento dei sassi - la n. 619 del 17 maggio 1952 - con la quale venne cancellata quella macchia dell'Italia. 
    Poi Matera riuscì ad ottenere anche il prolungamento della rete idrica del famoso "Acquedotto Pugliese", e nella nuova città arrivò anche la rete fognaria. Nel suo libro egli però ha cura di documentare come avvenisse una volta la raccolta dei rifiuti organici, lasciandone la testimonianza, con un disegno, della famosa "vott", e così, attraverso Valentino, ed il suo libro sulla storia di Matera, finisco col calarmi nei ricordi di Banzi ed a rievocare la "vott d' Ciccillon".
    Ma ci sono altri reperti e denominatori comuni con Banzi trovati in quel luogo di vacanza: ve li ricordate i fontanili dell'Acquedotto Pugliese collocati una volta per le strade e sotto il "portale di accesso al borgo badiale" (come adesso si appella con espressione nobilitata la vecchia piazzetta del pescivendolo)? A Santa Maria di Leuca sopravvivono ancora. Peraltro, forse perché là li avevano installati prima che a Banzi, essi riportano stampata su anche l'emblema del "fascio littorio" e, nonostante li abbiano verniciati di azzurro (forse proprio per nascondere tale immagine), quando ti avvicini per bere, il fascio te lo ritrovi davanti agli occhi, sì che anche un miope grave non potrebbe non vederlo.
    Viceversa, nella lapide posta all'inizio della scalinata (di 283 gradini) che conduce al faro, per commemorare la realizzazione dell'Acquedotto Pugliese", è stato fatto sparire ogni riferimento a Mussolini ed ai simboli dell'era fascista - data con numeri ordinali romani, fascio, aquila". Infatti, in essa si legge  
                                                   
apparendo evidente la cancellazione di due righe dopo la prima (in cui ci sarà stata qualche scritta retorica in onore del duce Mussolini), ed il contenuto dell'ultimo spazio, nel quale era indicata la data dell'era fascista. Un'osservazione non posso trattenermi dal fare al riguardo: perché è stato lasciato il riferimento al re - ai cui discendenti la Costituzione ha vietato per sessant'anni di fare ritorno dall'esilio in Italia -, mentre è stato cancellato quello al duce - alla cui discendenza, per esempio nipote Alessandra, non è affatto vietato di fare attività politica nel solco del pensiero del nonno?
    Sono i misteri, o meglio le incongruenze e contraddizioni della politica, che producono talvolta anche l'effetto antiestetico di fare scempio ai monumenti. Senza ironia, mi piacerebbe se la citata Alessandra si incazzasse ed ottenesse di far ripristinare tutte le scritte come erano all'origine. I monumenti e le lapidi, pur nel loro valore relativo che possono avere, è preferibile lasciarli intatti per capire meglio il messaggio che recano.
    Per quanto riguarda la lapide di cui trattasi, se posso solo immaginare le parole inserite nelle due righe cancellate, viceversa, sono in grado di riempire con sicurezza l'ultimo spazio in fondo, quello vicino al 1939, mettendoci "XVII", ciò non tanto perché sia bravo in storia, quanto perché nel retro di una foto che mio padre aveva inviato a mia madre dall'Albania, la data 27.9.1941 era seguita da XIX - come testimoniato dal ritaglio seguente - così mi limito semplicemente a fare la sottrazione di due anni.
                                                       
  
A proposito di Acquedotto Pugliese, sui fontanili e chiusini che c'erano per le strade di Banzi, esso era indicato con EAAP - Ente Autonomo Acquedotto Pugliese -, che è stato forse il primo acronimo imparato nell'infanzia, anche se allora non sapevo che un nome costituito dalle sigle iniziali delle parole si denominasse così.
    L'Acquedotto Pugliese però, se attingeva la sua acqua essenzialmente in territorio campano-lucano (allora perché si denominava solo pugliese?), non ne erogava molta al mio paese, dove veniva pressoché centellinata. Per fortuna avevamo il fontaniere che abitava proprio di fronte a casa ed egli aveva un occhio di riguardo per il vicinato, avvertendoci di andare ad attingere l'acqua alla fontana quando stava per sospenderne l'erogazione, spesso attendendo indulgentemente qualche minuto in più.
    Fare il fontaniere significava comunque avere un bel posto, avere uno stipendio assicurato, tale da consentire alla propria famiglia un tenore di vita più elevato di quello dei comuni mortali, ed alla propria moglie di "fare la signora", di risparmiarle di andare in campagna. Mi ricordo, per esempio, che la moglie del fontaniere vicino casa faceva decisamente la signora, dava da mangiare bene ai propri figli, a volte superalimentandoli, se una volta accadde che una sua bambina ebbe problemi di intossicazione al fegato perché le aveva fatto fare una cura ricostituente con troppe uova bevute fresche al mattino, quando noi in casa le mangiavamo sì e no per Pasqua.
    Che avere un marito dipendente dell'EAAP fosse un buon partito, lo aveva capito anche la famiglia proprietaria dell'alloggio dove abitava il fontaniere di Banzi, il quale procurò un marito dipendente suo collega alla loro figlia, che poté fare così anche lei la signora, anzi ancora di più, perché andò a vivere nientedimeno che a Potenza. E l'aveste sentita, quando ritornava, come declamava i nomi dei figli, scandendone le sillabe come forse non avrebbe saputo fare, se la maestra a scuola le avesse fatto fare la scomposizione per iscritto, per esercizio grammaticale.
    L'EAAP, comunque, che abbia erogata a sufficienza o meno l'acqua a Banzi, che fosse giusto o meno cancellare i riferimenti al duce ed al fascismo, sicuramente ha dato da sistemare a più di qualcuno, è stata fonte di approvvigionamento di posti, merito di Colombo (e di chi gli è succeduto) che, oltre ad essersi adoperato per fare uscire i materani dalle grotte, ha sistemato anche non poche persone di Banzi, fra EAAP e banche.
    Mi ricordo che ad un mio compagno di scuola, in occasione del referendum del 12 maggio 1974, fu sufficiente andare in giro col megafono a fare campagna a favore dell'abrogazione della legge sul divorzio e, anche se il suo fu fiato sprecato, perché non valse a contribuire al successo dell'abrogazione della legge, fu premiato da Colombo con un bel posto in banca, il che gli consentì di potersi subito sistemare.
    Il posto - non il lavoro - faceva, e continua a fare, la differenza fra le persone, dava distinzione sociale e, anche se non era quello di maestro, faceva comunque insuperbire chi lo aveva. Mi ricordo di quale superbia si vestì una persona nell'ambito della mia famiglia, quando suo marito ebbe un posto: a momenti non ti salutava più. E chi riusciva ad avere un posto era comunque oggetto d'invidia, perché  cambiava la propria sorte.
    Una volta, mentre ero in ferie a Banzi con figli piccoli, accadde che uno di essi si ammalò proprio prima di partire, costringendomi a rinviare di una settimana la partenza ed il ritorno al lavoro. Un mio zio, con finta premura, mi chiese se non correvo il rischio di perdere il posto, leggendo nel suo sguardo la speranza che ciò potesse verificarsi.
    Nel mio lavoro ho modo di fare diversi concorsi per l'assunzione di personale; la legge vieta di far parte delle commissioni giudicatrici a chi abbia un rapporto di parentela o di affinità entro il quarto grado con qualche concorrente, evidentemente nel presupposto che ciò possa essere motivo di favoritismo.  Meno male che esiste tale disposizione, ma in senso opposto, perché essa costituisce per me una tutela, atteso che, se dovessi partecipare io come candidato a qualche concorso, e della commissione giudicatrice dovesse far parte ad esempio qualche cugino, in partenza non avrei alcuna chance di poterlo vincere.

   Sono andato in vacanza, e mi ritrovo ancora a raccontare un po' di storia del mio paese: del resto, se il proverbio dice che "tutto il mondo è paese", non era difficile trovare il mio paese nel mondo, quindi anche al limite "de finibus terrae".
     Ho sentito il bisogno di andare in chiesa a Santa Maria di Leuca per esprimere la mia gratitudine per la meravigliosa vacanza trascorsa. Ho convinto mia moglie ad andare al mattino presto alla messa delle sette e mezzo. Le campane lì hanno un suono davvero limpido, come il cielo, e fanno solo "din din din" per evitare equivoci.
    Nell'attesa dell'inizio della messa, il parroco si avvicinava a tutti i fedeli per salutarli. Lo ha fatto anche per noi, presentandosi prima: "sono Don Giuseppe". Gli ho riferito il motivo per cui ci trovavamo lì. Mi ha guardato con uno sguardo indulgente e benevolente, sembrandomi di capire che aveva creduto nella mia sincerità, perché mi ha dato con la mano tre colpetti sulla spalla (sembravano carezze), come a dirmi bravo, tu sei uno che non sa mentire, sei una persona vera, non sei un fariseo, come avrebbe spiegato più tardi nell'omelia; e, lo giuro, quando ha pronunciato il suo nome, "Don Giuseppe", non mi ha evocato nessun'altra persona che si chiamasse così, sia pure in modo derivato.
    Nell'incontro avuto con il signor Valentino, gli avevo detto che al mattino ero andato a messa. Sorpreso, mi ha risposto che c'era anche lui, chiedendomi dove fossi seduto. Quando sono ritornato il giorno prima della partenza, per salutarlo, in casa stavano recitando il rosario, che hanno interrotto per accogliermi. Io invece non sono aduso al rosario, sono di poche cerimonie e parole ed il Signore si deve accontentare di esse. Forse però ne ho scritte un po' troppe qua ed allora devo chiudere questa pagina.
    Ma prima debbo dichiarare di adempiere alla promessa di inserire in questa pagina la foto delle nozze di Lara e Riccardo, scattata qualche ora prima della partenza: insieme ai Sassi di Matera, sono anche loro un "Patrimonio dell'umanità".
    Ed infine voglio concludere dicendo che un posto come Santa Maria di Leuca non mi dispiacerebbe prenderlo in considerazione come possibile futura ultima mia dimora. Tra l'altro, mi attira anche l'idea di andare a ricavare in quella pietraia un po' di terra rossa dove piantare ulivi, fichi ed uva, costruendo con le pietre raccolte una paiara.
    La tradizione vuole che San Pietro, reduce dall'Oriente, abbia cominciato la sua predicazione in Italia proprio da Leuca. Io, invece, potrei concludere lì il mio viaggio, col beneficio di potermi guadagnare l'indulgenza di Pietro per accedere nel miglior posto dell'aldilà. Per ottenerla, gli porterei un po' di frutta di Leuca: sono certo che quando gli mostrassi "le fiche" ivi raccolte, egli, come Don Giuseppe, mi darebbe un colpetto sulla spalla, dicendomi subito: "entra, entra, per te c'è posto".


Faro di Leuca: inizia l'Italia

...
insieme alla Madonna

Leuca: mare, cielo, terra e

...qualche nuvola bianca

L'alba nell'Adriatico...

...ed il tramonto nello Ionio

Il mare con una barca

Monumento all'EAAP


Fontanile dell'EAAP


Sposi Lara e Riccardo


Ed a Banzi c'era una volta la "vott"

17 settembre 2006
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